Un «giudizio universale» contro la pedofilia

I quattro giorni di riflessione sullo scandalo delle devastanti violenze sessuali del clero su minori, che il Papa ha deciso di organizzare in Vaticano da giovedì a domenica, per la Chiesa cattolica sono stati come un «giudizio universale» che modificherà profondamente lo status quo, aprendo ad un futuro carico di promesse, e di tensioni, per il miliardo e trecento milioni di fedeli che guardano a Roma come al centro storico della loro religione.
«Incontro sulla protezione dei minori nella Chiesa» era il titolo – piuttosto minimizzante – dell’evento che ha visto convenire, accanto al pontefice, centonovanta persone: i presidenti delle 114 Conferenze episcopali del mondo (per la Svizzera, monsignor Felix Gmür, vescovo di Basilea), i patriarchi ed arcivescovi maggiori delle Chiese cattoliche orientali, una quindicina di vescovi di Paesi che hanno una sola diocesi, una decina di cardinali responsabili di dicasteri della Curia, altri dirigenti curiali, una dozzina di superiori religiosi, e altrettanti di religiose.
L’assemblea – svoltasi nell’aula nuova del Sinodo – è stata introdotta dal pontefice, con brevi ma dense parole: «Iniziamo il nostro percorso armati della fede e dello spirito di massima parresia [audacia nel parlare], di coraggio e concretezza».
PROFONDO SMARRIMENTO
I lavori sono stati avviati da relazioni di cardinali, esperti ed esperte, che hanno sviluppato singoli aspetti del tema generale, poi approfonditi in undici raggruppamenti linguistici. Ampio e ribadito è stato il senso di smarrimento per lo scandalo che ha scosso la Chiesa romana, turbato i fedeli e impressionato l’opinione pubblica dei vari paesi. Non ci si è addentrati in cifre, anche se si ritiene che, in media, nel mondo, tra il 4 e il 6% del clero abbia compiuto violenze sessuali su minori.
Fin sul finire del secolo scorso, la prassi, di fronte ad un prete pedofilo, era che il vescovo lo trasferisse da una parrocchia all’altra. Ma, se una volta questo modo di fare era tacitamente accettato a Roma, in una ventina d’anni la sensibilità dei fedeli (oltre che dell’opinione pubblica) ha fatto un balzo. Basti dire che l’arcivescovo di Boston, cardinale Bernard Francis Law, nel 2002 fu costretto a dimettersi perché un giornale della sua città, il Boston Globe, aveva dimostrato che il prelato aveva protetto numerosi preti pedofili della diocesi. Papa Wojtyla chiamò a Roma il porporato, ma non lo sottopose a processo canonico, e gli affidò l’incarico di arciprete della basilica di Santa Maria Maggiore. Un tale affronto alle vittime oggi non sarebbe tollerato. E, infatti, papa Francesco nel luglio scorso aveva tolto il cardinalato all’ex arcivescovo di Whashingotn, Theodore McCarrick, accusato di aver abusato di minori; e, pochi giorni fa, lo ha ridotto allo stato laicale.
L’INCIDENTE PAPALE
Anche Francesco, però, è incappato in un incidente, forse perché l’attuale arcivescovo di Santiago, il cardinale Ricado Ezzati Andrello, e il suo predecessore in pensione, Francisco Errázuriz Ossa, avevano minimizzato al papa le responsabilità di un vescovo da molti accusato di aver protetto un prete pedofilo. E così, un anno fa, il papa in visita in Cile definì «calunnie» quelle contro Juan Barros, vescovo di Osorno (città a sud di Santiago). Ma, tornato a Roma, e meglio informatosi, una settimana dopo il pontefice inviò laggiù monsignor Charles Scicluna, arcivescovo di Malta, ad indagare. Conseguenza: in maggio il Papa ha chiesto le dimissioni di tutti i vescovi del Cile, riservandosi, caso per caso, se accettarle o meno (quelle di Barros, quasi subito).
È in tale contesto che, deciso alla «tolleranza zero», Francesco ha convocato l’Incontro appena concluso, dove gli oratori/trici ufficiali, da lui scelti, hanno detto parole raramente udite in Vaticano. Il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco, ha detto che nelle varie Curie «sono stati distrutti files che documentavano fatti tremendi, e cancellati i nomi dei responsabili».
E per il cardinale colombiano Rubén Salazar Gómez molte volte i vescovi procedono «come i lavoratori salariati che, vedendo arrivare il lupo, fuggono lasciando il gregge incustodito». Poi l’indiano Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay ha notato che non solo in Occidente vi è la piaga dei preti pedofili; anche in Africa e Asia (e, in India, aggiungiamo noi, dove un vescovo è stato accusato di aver stuprato delle suore).
Ma ancora più incisiva una suora, la nigeriana Veronica Openibo, superiora generale di una congregazione religiosa: «Come ha potuto la Chiesa del clero coprire quelle atrocità?». E infine: «Sbagliano gli africani e gli asiatici, sbagliano quando dicono che le violenze sessuali del clero su minori riguardano solo il Nord del mondo. Ci sono anche in Nigeria abusi sessuali nei conventi e nelle case di formazione».
I CONTESTATORI
Mentre i 190 facevano le loro discussioni, diversi gruppi di «sopravvissuti» alle violenze sessuali del clero si sono riuniti a Roma, manifestando in varie parti. Essi hanno accusato alcuni cardinali latino-americani e curiali di aver «tollerato» preti pedofili, e chiesto al Papa di sottoporli, in Vaticano, a processo: per liberarsi, se possono, dalle accuse, e per essere degradati, se esse si dimostrassero fondate. Ma hanno fatto sentire la loro anche rappresentanti dei cattolici «conservatori», sostenendo che la gran maggioranza dei preti violentatori sono gay; occorre, hanno detto, ribadire l’assoluta immoralità dell’omosessualità.
Il Papa ha seguito tutto, in Vaticano, ed ha saputo delle contrastanti manifestazioni a Roma. Da queste voci e da queste testimonianze trarrà di sicuro le sue conclusioni.