Cannes

Un inquietante futuro firmato David Cronenberg

Il 79.enne regista canadese torna dietro la macchina da presa per narrare una vicenda fantascientifica che ci tocca da vicino, al centro della quale ci sono le progressive e allarmanti mutazioni del corpo umano per adeguarsi alle nuove condizioni di vita
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Antonio Mariotti
24.05.2022 06:00

A quasi dieci anni dal suo ultimo (e poco incisivo) lungometraggio Map to the Stars (in concorso a Cannes nel 2014), in molti avrebbero potuto pensare che l’oggi 79.enne David Cronenberg avesse ormai deciso di non più cimentarsi nella regia cinematografica. Il suo nuovo film in concorso, Crimes of the Future, non solo smentisce con forza questa ipotesi, ma aggiunge un capitolo di estremo interesse a una traiettoria registica lunga ormai più di mezzo secolo e iniziata nel 1970 con un film che, guarda caso, porta lo stesso titolo di quello attuale. Un percorso partito dall’esplorazione del genere horror che ha poi portato il cineasta canadese a essere considerato uno degli autori-chiave del XX secolo.

Sceneggiatura datata 1999

Attorno a Crimes of the Future regnava una grande attesa, anche perché si sapeva trattarsi di un vecchio progetto che Cronenberg, dopo averne scritto la sceneggiatura nel 1999, aveva volutamente lasciato invecchiare in un cassetto, convinto che i tempi (e soprattutto gli spettatori) non fossero ancora maturi per apprezzarlo. Complice forse anche la pandemia, ora il momento è giunto e, se come quasi sempre capita con i suoi film metà del pubblico lo adorerà e l’altra metà lo detesterà, Crimes of the Future ci ricollega a uno dei periodi più fausti della traiettoria cronenberghiana: quello di Crash (1996) ed eXistenZ (1999). Anche in questo caso, al centro della riflessione del regista c’è il corpo umano e le sue inevitabili mutazioni per adattarsi a un contesto sociale e ideologico in perenne movimento. Cronenberg sceglie la via di una fantascienza del tutto priva di tecnologia (niente automobili, telefonini o computer) e di un contesto politico chiaro, per concentrarsi su una coppia di performer - Tenser (Viggo Mortensen) e Caprice (Léa Seydoux) - che esplorano un nuovo territorio della body art: lei estrae chirurgicamente dal corpo di lui degli organi che si autogenerano e si trasformano in una vera e propria collezione di opere d’arte. Naturalmente, nella logica dell’universo cronenberghiano, queste «operazioni» implicano una dimensione erotica, tanto che Caprice affermerà a un certo punto che «la chirurgia è il nuovo sesso», mentre la ricerca di un’ancora indefinita «bellezza interiore» sembra ormai preponderante su qualsiasi idea di estetismo epidermico.

Inevitabile campo di battaglia

Per Cronenberg, quindi, il corpo umano rimane un inevitabile campo di battaglia. Una battaglia che però, diversamente da quanto accade in altri suoi film (basti pensare a La mosca del 1986), non riguarda più l’esterno ma l’interno. Ed in Crimes of the Future è dunque anche questione di un gruppo di individui che ha sviluppato la capacità di nutrirsi di sostanze plastiche e di trasmettere questa mutazione alle future generazioni, ciò che apre scenari oltremodo inquietanti, dove fa breccia anche il cannibalismo. Flagelli contro i quali una struttura statale in netto ritardo sui tempi cerca di agire soprattutto burocraticamente con un Registro dei nuovi organi affidato a una dottoressa (Kristen Stewart) che non sa bene che pesci pigliare. Girato in uno stile impressionista, dominato dalla colonna sonora avvolgente di Howard Shore, Crimes of the Future è un Cronenberg DOC, capace di affascinare e di respingere nel medesimo tempo, di mostrarci un avvenire che nessuno si augura ma che probabilmente stiamo già vivendo (il regista cita le realtà «alternative» dove cambiano le funzioni del nostro corpo) senza cadere nel catastrofismo. Nulla si sa della struttura che governa il mondo del film e ciò lascia all’autore un’estrema libertà d’azione nell’ambito di un genere come la fantascienza che spesso sottostà a troppi condizionamenti ideologici. In Crimes of the Future l’unico contropotere organizzato pare quello del mondo dell’arte contemporanea. Una scelta di certo non casuale.