Italia

«Un Piano troppo complesso che avrà un’eredità pesante»

Il Pnrr, con i suoi 237 miliardi di euro in dotazione, avrebbe dovuto risollevare il Belpaese dalla crisi provocata dalla pandemia di Covid con una serie di riforme, ma finora «poco o niente» di concreto è stato veramente fatto
Il Pnrr serve anche per finanziare o completare opere pubbliche. © Shutterstock
Jacopo Rauseo
13.06.2024 23:00

«Le grandi riforme promesse non sono state attuate e non lo saranno mai». È un giudizio netto quello di Roberto Perotti, professore all’Università Bocconi di Milano, sullo stato d’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), il piano di riforme e investimenti dell’Italia che attinge dai fondi messi a disposizione dalla Commissione europea. Approvato nel 2021 dal Governo Conte II, il Pnrr si prefiggeva la missione di risollevare l’Italia dalla crisi provocata dalla pandemia, spendendo 237 miliardi di euro fra sovvenzioni a fondo perduto e prestiti.

Il programma italiano si è configurato, dunque, fin da subito come una «scommessa»: utilizzare, entro la scadenza del 2026, i fondi europei per investire e fare riforme strutturali per aumentare la capacità di crescita dell’economia italiana. Una scommessa che l’Italia sta perdendo, secondo il professor Perotti, che al piano ha dedicato, assieme al collega Tito Boeri, il saggio «Pnrr: la grande abbuffata».

Il Pnrr è un programma di spesa enorme, riferito al «NGEU» dall’UE (Next Generation EU, chiamato anche «Recovery Fund») e pari al 12% del PIL italiano - eppure il piano è rimasto assente dal dibattito pubblico che ha preceduto le elezioni europee dello scorso fine settimana. «Ricordiamoci che, a suo tempo, Fratelli d’Italia aveva votato contro il Pnrr e, dunque, il Governo attuale, guidato da Giorgia Meloni leader di quel partito, non sente il piano come suo», spiega Perotti, aggiungendo che «si tratta di un piano estremamente complesso, con all’interno migliaia di progetti, per cui non è facile entusiasmare l’elettorato».

Il peccato originale

Per comprendere le difficoltà attuali bisogna appunto richiamare un vizio originale, emerso già in sede di progettazione: la complessità del piano. «Sono stati presi troppi soldi», continua Perotti. «Il Governo ha dovuto decidere in fretta come spenderli e il piano contempla migliaia di progetti, molti anche piccoli, di cui bisogna indire i bandi e poi gestirne l’attuazione. Le entità locali non hanno la capacità di implementare misure di questa portata». Per l’economista, quindi, si è utilizzato il criterio di «quanto» spendere piuttosto di «come» spendere i fondi europei. Da considerare poi le difficoltà oggettive per qualsiasi Stato, ma in particolare per l’Italia, storicamente in difficoltà nella gestione dei fondi europei e alle prese con una cifra enorme come quella in dote al Piano.

La mole di progetti ha un impatto anche sulla rendicontazione. Su questo punto, Perotti osserva: «Data la moltitudine di misure, è molto difficile sapere a che stadio sono gli investimenti promossi dal Pnrr. La stessa Corte dei conti ha ammesso che non è in grado di rilevare quanto è stato effettivamente speso». Secondo le ultime stime disponibili del Governo, al 31 dicembre del 2023 erano stati spesi meno della metà del 101 miliardi ricevuti dalla Commissione.

E le riforme restano latitanti

Se, al momento, la valutazione degli investimenti si scontra con l’interrogativo di quanto veramente speso, per Perotti è chiaro che dal lato delle riforme «poco o niente» di concreto è stato veramente fatto. Domandiamo allora al professore come ribatte a chi sostiene che la riforma della giustizia civile ha diminuito i tempi dei processi. «Si tratta di una lettura scorretta dei dati - chiarisce Perotti - . Infatti, il Pnrr si prefiggeva di ridurre l’arretrato del 90%, ma utilizzando come riferimento il 2019. Ora, la riduzione dell’arretrato è avvenuta principalmente fra il 2019 e il 2022, ossia prima dell’attuazione della riforma della giustizia e non dopo». Ma come spiegare questa apparente contraddizione? «La diminuzione – prosegue Perotti - è attribuibile allo stop delle attività durante la pandemia da Covid, che ha portato a meno litigiosità e quindi a meno processi in entrata. Per valutare l’effetto della riforma non bisogna guardare ai procedimenti in entrata, che sono indipendenti dal piano, ma ai procedimenti evasi. Facendo questa distinzione, per ora, non si vedono ancora gli effetti del Pnrr nei dati».

Un’eredità pesante

Infine, domandiamo al professor Perotti che cosa rimarrà del Piano una volta arrivati alla scadenza del 2026. «Rimarrà un’eredità pesante. Ci siamo impegnati a spendere più di 200 miliardi e pochi mesi prima del Pnrr, con una legge scellerata, avevamo anche deciso di spenderne altri 200 con il superbonus edilizio (un incentivo fiscale che prevedeva un credito d’imposta al 110%, ndr). Fra maggio 2020 e aprile 2021, in soli 10 mesi, abbiamo programmato di spendere più di 400 miliardi, una cifra pari al 20% del PIL. Quando, invece, cerchiamo 350 milioni per la sanità come è accaduto recentemente non li troviamo. C’è qualcosa di sbagliato in tutto questo», conclude Perotti.

Un’eredità pesante, ma che peserà sulle casse dello Stato italiano per gli anni a venire.