Verso il 29 novembre

«Un sì sarebbe un autogol in piena crisi economica»

Secondo il capo del Dipartimento federale di giustizia e polizia Keller-Sutter l’iniziativa non riguarda solo le multinazionali, ma in linea di principio tutte le imprese
©KEYSTONE/Peter Schneider
Moreno Bernasconi
12.11.2020 06:00

Consiglio federale e Parlamento sono contrari all’iniziativa popolare «Per imprese responsabili», secondo cui le aziende svizzere dovranno rispondere delle violazioni dei diritti umani e dei danni ambientali causati all’estero. La direttrice del Dipartimento di giustizia e polizia Karin Keller-Sutter è stata la promotrice del controprogetto indiretto (a livello di legge) approvato dalle Camere e che entrerebbe in vigore in caso di bocciatura dell’iniziativa.

Signora consigliera federale, non le sembra normale ed eticamente doveroso che le aziende svizzere che operano all’estero rispettino i diritti dell’uomo e l’ambiente e siano ritenute responsabili di fronte alla legge se non lo fanno?

«Va da sé che è così! Io mi aspetto da tutte le aziende svizzere che si assumano la responsabilità per i danni che provocano; ovunque li provochino. E il diritto svizzero lo contempla già oggi. Il Governo e il Parlamento condividono quindi gli obiettivi dell’iniziativa. Sono tuttavia convinti che essa vada respinta poiché ciò che vuole è troppo radicale: l’iniziativa esige che in materia di responsabilità vengano adottate regole nuove e uniche al mondo. Il Consiglio federale sostiene invece il controprogetto indiretto adottato dal Parlamento il quale rafforza la protezione dei diritti umani e dell’ambiente, senza però penalizzare le aziende svizzere».

La Svizzera è un Paese con una lunga tradizione umanitaria internazionale e la nostra diplomazia è apprezzata come mediatrice di conflitti. Siamo presenti all’estero con iniziative di aiuto allo sviluppo e di protezione delle popolazioni sfruttate (in particolare le donne e i bambini). L’iniziativa per aziende responsabili non è perfettamente in linea con questa tradizione e non la rafforzerebbe?

«Questa iniziativa non pone la questione se si è a favore o contro i diritti umani, oppure per o contro la protezione dell’ambiente. Gli obiettivi dell’iniziativa sono incontestati e anche il Consiglio federale vuole che le aziende svizzere vengano richiamate più fortemente al rispetto dei propri doveri. Ma la domanda che dobbiamo porci è la seguente: con quali strumenti vogliamo raggiungere questi scopi? E per rispondere a questa domanda occorre considerare attentamente non solo il titolo dell’iniziativa ma anche ciò che i suoi contenuti meno appariscenti implicano come conseguenze. Sareste d’accordo se improvvisamente voi doveste essere ritenuti responsabili anche dei miei errori? Oppure: vogliamo davvero che i tribunali svizzeri siano chiamati a giudicare fatti avvenuti all’estero?»

La semplice diligenza dovuta non ha impedito finora che aziende svizzere oppure loro filiali o controllate provocassero danni all’ambiente e gravi conseguenze per la salute di popolazioni dei Paesi del Sud oppure che ignorassero la questione dei diritti dell’uomo. Perché il Governo e il Parlamento svizzeri sono contrari ad un forte giro di vite delle norme legali per impedire questi abusi?

Il controprogetto è coordinato con le regole internazionali e quindi non penalizza le aziende svizzere rispetto ai concorrenti

«La grande maggioranza delle aziende svizzere lavora correttamente e si attiene alle regole. In casi singoli, certo, possono essere riscontrati anche comportamenti scorretti. A chi non è mai capitato di incorrere in errori? Ne fanno a volte le aziende, anche le organizzazioni umanitarie e anche lo Stato. Ma per i loro errori già oggi le aziende devono assumersi le proprie responsabilità là dove sono operative, anche all’estero. Lo ripeto: anche il controprogetto richiama in misura maggiore le aziende al rispetto dei propri doveri. Ma il controprogetto è coordinato con le regole internazionali e quindi non penalizza le aziende svizzere rispetto ai loro concorrenti stranieri. La realtà è che se le aziende svizzere dovessero ad esempio ritirarsi da alcuni Paesi africani poiché il controllo della catena dei loro fornitori è troppo difficile, altre aziende di altri Paesi investirebbero al posto delle nostre. E magari quelle senza scrupoli».

Quali e quante sarebbero le aziende toccate dall’iniziativa? Nei cartelloni che promuovono l’iniziativa si parla delle multinazionali...

«Nell’iniziativa non si parla di multinazionali. Il suo titolo è “Iniziativa popolare per imprese responsabili” e il testo parla solo di imprese. Quindi essa riguarda in linea di principio tutte le imprese, anche le piccole e medie aziende (PMI). Secondo uno studio sulla sua applicazione, 80.000 imprese sarebbero toccate dall’iniziativa. E l’80% di queste imprese occupa meno di dieci collaboratori».

Come, concretamente, gli strumenti proposti dall’iniziativa per evitare abusi sono controproducenti per l’economia e i posti di lavoro in Svizzera e provocherebbero effetti dannosi per il diritto?

«L’iniziativa è un passo isolato e unilaterale che svantaggia le aziende svizzere rispetto alla loro concorrenza estera. Sono convinta che occorre interrogarsi molto bene se davvero vogliamo inutilmente indebolire la nostra piazza economica. In tempi già molto difficili, un sì all’iniziativa sarebbe un’autorete. Abbiamo bisogno di stabilità e di prevedibilità. Il Consiglio federale sta facendo tutto il possibile in questo momento per aiutare l’economia ad affrontare la crisi provocata dalla COVID. Non vogliamo esperimenti in un momento di crisi dell’economia.

Abbiamo bisogno di stabilità e prevedibilità. Non vogliamo esperimenti in un momento di crisi

Se accettata, l’iniziativa imporrebbe a tutte le aziende di verificare e garantire che i partner con cui collaborano all’estero rispettano compiutamente i diritti dell’uomo e non siano una minaccia per l’ambiente. Recentemente una PMI del settore farmaceutico mi ha detto che aveva 11.000 (undicimila) fornitori. Come vede, si tratta di una burocrazia gigantesca che implicherebbe costi elevati anche per la grande maggioranza delle imprese che già oggi si comporta in modo corretto e responsabile».

Se ho ben capito noi imporremmo il nostro diritto nei Paesi dove operano non solo le nostre aziende ma anche le ditte con cui collaborano?

«Esattamente! La Svizzera neutrale improvvisamente sfodera la pretesa che il proprio ordinamento giuridico sia superiore a quello degli altri Paesi. Trovo davvero presuntuoso il fatto che con questa iniziativa la Svizzera imponga il proprio diritto anche agli altri Paesi del mondo. Anche il nostro Paese si è opposto quando gli Stati Uniti hanno voluto imporci il loro diritto».

La Svizzera neutrale improvvisamente sfodera la pretesa che il suo ordinamento giuridico sia superiore

Da quanto ho appreso, lei teme che i tribunali dei Cantoni dove le imprese svizzere hanno la loro sede debbano occuparsi di denunce contro nostre aziende per azioni commesse all’estero di cui sono responsabili imprese estere con cui esse collaborano. È così?

«Immagini che la Pretura di Bellinzona debba stabilire secondo il diritto svizzero se un fornitore di cacao della Costa d’Avorio ha violato dei diritti umani in Costa d’Avorio e se la ditta svizzera produttrice di cioccolato (da cui il fornitore di cacao è economicamente dipendente) può dimostrare di aver fatto di tutto per impedirlo...»

Non siamo i soli a muoverci. In questi anni diversi Paesi europei, in particolare la Francia ma anche recentemente la Germania, hanno discusso modifiche legislative che vogliono aumentare gli standard etici di rispetto dei diritti umani e dell’ambiente da parte delle aziende che operano all’estero. La Svizzera farebbe da apripista...

«Il controprogetto è coordinato con quanto si fa a livello internazionale. L’iniziativa, invece, non lo è. Non dovremmo proprio in questo momento gravare le nostre imprese con regole più severe di quelle in vigore nei Paesi delle loro aziende concorrenti. Se l’iniziativa venisse accettata, le imprese svizzere potrebbero ritirarsi da Paesi in via di sviluppo o emergenti. Sarebbe paradossale: oggi queste imprese investono in parte in infrastrutture in quei Paesi e creano posti di lavoro. Fermo restando che ci vogliono degli standard di rispetto dei diritti umani e dell’ambiente internazionalmente assicurati (e il controprogetto lo garantisce), il migliore aiuto allo sviluppo è offrire lavoro alla popolazione di quei Paesi».

Come il controprogetto realizza gli standard di protezione dei diritti umani e dell’ambiente internazionalmente adottati?

«Il controprogetto è conforme alle Direttive dell’Unione europea sulla responsabilità delle aziende (Corporate social Responsability) e sui minerali di conflitto (ndr. stagno, tantalio, tungsteno e oro). Per quanto riguarda il lavoro minorile noi riprendiamo inoltre il modello olandese che è molto esteso. Questo punto mi sta particolarmente a cuore. Il controprogetto obbliga inoltre le imprese a garantire una maggiore trasparenza grazie all’obbligo di fornire un rendiconto. Consideri che il bene più importante per un’azienda è la sua reputazione, in particolare presso i propri consumatori e investitori. E quando un’azienda vien meno al suo dovere di rendicontazione, rischia una multa fino a 100.000 franchi. Il controprogetto (che entra in vigore se l’iniziativa è respinta) ci avvicina quindi all’obiettivo più dell’iniziativa poiché l’iter di attuazione di quest’ultima durerebbe anni. Il controprogetto concilia cuore e ragione e rappresenta la saggia via mediana svizzera».

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