«Un sindacalista non fa politica»

LUGANO - Enrico Borelli, ormai storico sindacalista di UNIA, si appresta a lasciare il Ticino. Ma cosa ne pensa della sinistra e della politica in genere? Ecco le sue risposte, senza peli sulla lingua.
La sinistra ticinese fatica ad interagire con la piazza e la realtà sociale che voi toccate con mano. È per questo che in questa sinistra non vi riconoscete?
«La situazione in cui versa la sinistra oggi è oggettivamente drammatica. Molti pensano, e io sono tra questi, che le forze classiche della sinistra abbiano esaurito la loro funzione storica. Oggi è costretta a reinventarsi, nella forma, nei modi e negli approcci. La cesura c’è stata quando la sinistra ha abdicato da quella che è la sua funzione originale. La sinistra è quel soggetto che deve muovere dalla difesa dei soggetti, le lavoratrici e i lavoratori. Deve sviluppare una sensibilità di classe. Quando ha abdicato la diga è crollata e tutto è stato spazzato via, compresi quei dirigenti con una mentalità ancora ottocentesca. Il PD in Italia è uno degli esempi lampanti: è stato assassinato e se pensiamo che aveva milioni non di votanti, ma di iscritti. Oggi vediamo delle forme partito liquide, dei comitati elettorali. Occorre ripartire dal rapporto tra la sinistra e la propria gente, dalla sinistra e il territorio. L’azione si può rilanciare, ma deve rappresentare un’alternativa, non la copia sbiadita di ciò che fanno già altri».
Ma se lei non fosse in partenza dal Ticino, si sarebbe speso per quella forza alla quale fa l’occhiolino a tempo, il Forum alternativo di Franco Cavalli?
«Io sono un sindacalista che ha sempre avuto una spiccata sensibilità a livello politico. Ma anche un sindacalista che ritiene che facendo l’interesse del sindacato risulta difficile coniugare l’intervento sindacale con uno politico e partitico. Io ho privilegiato da vent’anni l’azione sindacale e non avrei cambiato le mie priorità».
È una questione di opportunità?
«Più che di opportunità è una questione pratica. Fare il sindacalista in maniera seria e con il cuore in mano non lascia tempo e spazio per fare politica. Io lo faccio con il cuore in mano, gettando il cuore oltre l’ostacolo per dare tutto. È anche una chiarezza di ruoli. L’attività da sindacalista è una sola, è una questione di credibilità e indipendenza. Nessuno potrà mai dire che ho fatto qualcosa per interessi personali e politici. Mi sento libero come l’aria e intendo rimanerlo».
Il lavoro è da anni al centro dell’attenzione della politica e del suo «bla bla». Il tiro alla fune, a livello elettorale, lo vincono i primanostristi. È uno scandalo o si tratta della democrazia e, volenti o nolenti, occorre rispettare?
«Iniziamo con il dire che quanto da lei detto trova conferma nel siparietto indegno sul salario minimo. Si è fatta melina per puri tatticismi elettorali. È indecoroso e a pagarne il prezzo dono le persone. Non c’è stato un approccio etico e in questo ci metto tutti i partiti. Sono dinamiche di Palazzo e manifesta incapacità di leggere la vita reale. Il Primanostrismo è un’operazione di sciaccallaggio perpetrata nei confronti delle persone. Questo non permetterà di risolvere uno dei problemi dei lavoratori. Ma acuirà le divisioni tra le persone e questo fa solo il gioco del capitale e degli speculatori e non dell’insieme della società. Non si può fare ricadere le responsabilità sui più deboli, sui migranti e sui frontalieri».
Come descriverebbe i rapporti con l’altro fronte sindacale, quello targato OCST?
«Devo riconoscerlo, abbiamo delle posizioni distinte, UNIA non è l’OCST, ma il mio auspicio è che si possano trovare dei terreni d’intesa. L’unità rafforza l’azione a vantaggio dei lavoratori».
Quando si tenta di mettere in difficoltà un sindacalista gli si dice che agisce solo in base a un credo, quello delle quote sindacali. Come replica?
«Le quote sindacali sono importanti e sono cosciente che il mio salario deriva da quanto pagano i lavoratori. Per questo ho un rispetto profondo perché attraverso il sacrificio e la solidarietà di tanti lavoratori si può costruire qualcosa a vantaggio del sindacato e di riflesso dei lavoratori. Lo dice anche il Fondo monetario internazionale, laddove c’è una presenza del sindacato, le diseguaglianze tra le persone sono più contenute».