Un viaggio apostolico tra dottrina e politica nel segno dell’unità e del dialogo

«Continuità nei contenuti e discontinuità nello stile». Il primo viaggio apostolico di Leone XIV in Turchia e in Libano, concluso ieri dopo sei giorni, ha aiutato a capire più a fondo la personalità del pontefice americano, ma ne ha anche segnato in maniera chiara alcuni confini dottrinali. Che non sembrano scostarsi molto da quelli tracciati dal predecessore argentino.
Secondo Francesco Mores, associato di Storia delle Chiese in età moderna e contemporanea all’Università Statale di Milano, «questo viaggio va interpretato, come sempre avviene per i viaggi apostolici, da un duplice punto di vista: geopolitico e teologico-dottrinale. Sul piano geopolitico, è abbastanza evidente che la scelta della Turchia e del Libano - certamente non fatta nelle ultime settimane - è stata significativa rispetto alle vicende attraversate da entrambi i Paesi e dall’intero Medio Oriente. Turchia e Libano sono due luoghi periferici e, nello stesso tempo, centrali rispetto alla questione palestinese. Sul piano teologico-dottrinale, è stato l’occasione per rilanciare la dimensione ecumenica, che era una costante del predecessore e che, pare di capire, sarà una delle cifre interpretative anche di questo pontificato».
L’unità delle Chiese
La celebrazione, a İznik - l’antica Nicea - dei 1.700 anni dal Concilio che lì fu celebrato nel 325, così come altre circostanze, hanno permesso, ad esempio, a Leone di parlare diffusamente dell’unità delle Chiese. «Mi rendo conto che sono argomenti non immediatamente intellegibili - dice Mores - Ma nei discorsi e nelle omelie pubblicati dal bollettino della Sala stampa vaticana si scorge chiara una trama di citazioni affatto casuale, sempre puntuale: ci sono molti richiami a Papa Francesco e all’esortazione apostolica Dilexi Te; ma anche citazioni di carattere storico: dalla dichiarazione di riconciliazione del 7 dicembre 1965 del patriarca Atenagora I e di Paolo VI, con l’eliminazione delle reciproche scomuniche, ai riferimenti a Giovanni XXIIII, il quale fu delegato apostolico in Turchia e in Grecia sino quasi alla fine del Secondo conflitto mondiale, tra il 1934 e il 1944. C’è stato anche un interessante riferimento a una prossima, possibile, celebrazione ecumenica. Il Papa ha detto: potremmo ritrovarci tutti, forse, nel 2033, quando festeggeremo i 2.000 anni dalla morte e dalla resurrezione di Gesù Cristo».
Continuità dottrinale e anche politica quindi. «In una risposta data a un giornalista di una televisione turca sul ruolo di mediazione svolto dal presidente Recep Tayyip Erdoğan sulla questione dei due Stati, Israele e Palestina, Leone XIV è stato molto esplicito, dicendo che è l’unica possibile e ribadendo quanto già aveva detto il suo segretario di Stato, il cardinale Parolin».
Parole forti, la cui eco è stata diffusa ma, forse, meno di quanto sarebbe stato lecito attendersi. Sul piano della comunicazione, Prevost sembra essere, infatti, meno efficace di Bergoglio.
«Probabilmente, è vero che c’è un problema comunicativo, il sistema dei media era abituato allo stile di Francesco, più diretto - dice Mores - Leone XIV non è così. Ma il suo messaggio è ugualmente forte. Pensiamo alla scelta di recarsi in Turchia, in prima battuta, a visitare il mausoleo di Mustafa Kemal Atatürk. E ai discorsi con le citazioni di Giovanni XXIII e di Paolo VI. Una serie di segnali diplomatici evidenti: intra-ecclesiali, cioè rivolti alle varie Chiese, con l’idea che esse possano essere attori di mediazione; e politici. Entrare nel mausoleo del padre della Turchia laica non è da poco, se si pensa quanto la figura di Atatürk sia eccentrica rispetto all’attuale governo turco e quanto l’idea di uno Stato laico sia stata contraddetta da vari provvedimenti presi da Erdoğan».
E in ogni caso, nonostante le differenze evidenti di stile, il Papa americano non ha mai mancato di richiamarsi a Francesco. Ancora ieri, nel discorso di commiato in Libano, ha ricordato come il viaggio fosse stato preparato da Bergoglio, e ha ammesso di aver realizzato ciò che il suo predecessore argentino avrebbe tanto voluto fare.
«È la stessa logica di quanto avvenuto con la Dilexi Te - dice Mores - Anche se in quel documento il Papa attuale non ha rinunciato a lasciare il suo segno, che è abbastanza evidente, l’esortazione è la ripresa di uno scritto di Francesco, con alcune aggiunte significative. In modo speculare, siamo di fronte a un viaggio che era stato preparato dal predecessore per ragioni assolutamente ovvie rispetto a un’area di conflitto. Un viaggio al quale Leone ha aggiunto qualcosa di suo, con uno stile peculiare».
Raccoglimento in moschea
Paradossalmente, ha fatto più notizia di altre il fatto che Leone sia andato nella Moschea Blu a Istanbul ma non vi abbia pregato. Un episodio che, dice Mores, «non si dovrebbe tuttavia enfatizzare. Nei bollettini della Sala stampa vaticana si dice chiaramente che il Papa si è raccolto con rispetto nel luogo sacro. E anche il gesto di togliersi le scarpe prima di entrare è stato in qualche modo un segnale ulteriore di questo rispetto. Benedetto XVI e Francesco avevano sì pregato in una moschea, ma la loro era stata una preghiera silenziosa. Mi sembra che alcuni commentatori abbiano voluto dare un’interpretazione un po’ capziosa, a mio avviso non c’è stato alcun segnale di mancanza o di minore attenzione verso l’islam da parte di Prevost. Semmai, è interessante un’altra cosa: durante il viaggio, il Papa ha incontrato alcuni rappresentanti dell’ebraismo, questo sì un fatto importante, che dice qualcosa rispetto a un contesto geopolitico nel quale l’islam è molto presente».
Non solo. «Nel discorso fatto in connessione al breve viaggio a Nicea - conclude Mores - Leone XIV ha molto insistito sul fatto che il simbolo niceno sia un testo in qualche modo comune a tutte le Chiese cristiane, un testo nel quale tutte le Chiese cristiane si riconoscono. Nessun aspetto, quindi, è stato trascurato in questo viaggio, che potremmo definire politicamente molto, molto accorto. Eravamo abituati a un altro stile, certo, e magari alle esternazioni di Francesco durante i viaggi in aereo. Ma c’è una grande differenza dal punto di vista dello stile tra i due Papi. È chiaro che, mediaticamente, funzionava meglio il pontefice argentino. Ma Prevost è molto diverso da Francesco. Per questo ho parlato di continuità nei contenuti e di discontinuità nello stile».
