Bellinzona

Una caserma che i pompieri attendono da mezzo secolo

La centrale di via Mirasole non è stata progettata per l’attività ed è utilizzata a titolo provvisorio – Il comandante Samuele Barenco: «La prontezza operativa ne risente, ma trovare una soluzione non sarà facile»
Il comandante Samuele Barenco. ©Chiara Zocchetti
Davide Rotondo
Davide Rotondo
05.04.2022 06:00

Sono stati sotto i riflettori per oltre due settimane a febbraio per lo spegnimento dell’incendio sul Monte Gambarogno. Domato il rogo, i pompieri di Bellinzona sono tornati alla loro caserma per riorganizzarsi e recuperare le forze. Lì incontriamo Samuele Barenco, Comandante del Corpo dei pompieri di Bellinzona dal 2013, che ci mostra la struttura di 2.500 metri quadri utilizzata da circa 120 pompieri di città e dove si trovano parcheggiati una trentina di veicoli. «Il Corpo è stato fondato nel 1829 e da allora non è mai stata costruita una sede pensata apposta per noi», spiega il Comandante. In effetti la squadra si è insediata nel 1976 in quello che inizialmente era un magazzino provvisorio per spostare le merci durante la ristrutturazione di un grande distributore negli anni 60. La storia è ormai nota, la Città ha poi recuperato lo spazio e lo ha messo a disposizione del Corpo. Sempre a titolo provvisorio, s’intende. Da allora sono passati 46 anni e i pompieri di Bellinzona città hanno per forza di cose imparato a fare di necessità virtù, sfruttando ogni centimetro a disposizione. I pompieri che incrociamo nella sala caffè ci spiegano che loro stessi hanno posato dei divisori in compensato per migliorarne gli spazi. In effetti l’arte di sapersi arrangiare non manca tra le donne e gli uomini in caserma.

Raggiungiamo dei prefabbricati adibiti a uffici e la centrale di comando, ben attrezzata ma poco più grande di uno sgabuzzino. «Le cose devono funzionare per forza, non ci sono alternative – spiega Barenco –, però lo scenario cambia in fretta e bisogna quindi tener conto dell’evoluzione e dell’espansione della città. Qualche decennio fa, ad esempio, i mezzi non erano così numerosi ma oggi ci servono per coprire un territorio abitato da circa 55.000 abitanti».

Problematica tramandata

Quello della sede è un problema che passa di legislatura in legislatura senza trovare una vera soluzione. Andando per esclusione, sarebbe impossibile innanzitutto pensare ad un’espansione: da una parte si trovano delle abitazioni, peraltro raggiunte dai rumori delle attività svolte dai militi, e dall’altra si trova il recente edificio dell’Istituto di ricerca in biomedicina (IRB). «Anni fa questa era una fascia esterna della città mentre oggi siamo proprio nel centro. Per il progetto di una nuova sede bisognerà avere lungimiranza e non sarà cosa facile, come non sarà facile trovare la giusta ubicazione considerando che idealmente potrebbero servire anche più di 5.000 metri quadrati. Per non parlare dei costi che potrebbero aggirarsi tra i 10 e i 20 milioni di franchi». Avere tutti quei mezzi in uno spazio ristretto e una sola uscita complica un po’ le cose: «La prontezza operativa ne risente anche perché ci ritroviamo subito in una zona residenziale ma d’altronde dobbiamo restare vicini alle vie di comunicazione principali».

Maggior ricambio

A cambiare però non è solo la morfologia della città, i cambiamenti Barenco li nota soprattutto all’interno della società: «Un tempo i ritmi erano più lenti e le carriere lavorative più stabili. Forse c’era anche un maggior sentimento di comunità. Fattori che permettevano ai volontari di prestare servizio per molti anni. Questo scenario oggi è cambiato e lo avverto soprattutto tra i nostri volontari. È vero che l’impegno richesto è grande, ma oggi noto che non riescono a stare dietro a tutto e il risultato è che dopo qualche anno devono smettere generando un maggior turnover».

Spazio alle donne

Entriamo negli spogliatoi, un luogo calmo ma pronto al trambusto di chi deve intervenire in fretta. Tra due armadietti notiamo un filo che regge una tendina: «Quello è, per così dire, lo spogliatoio femminile». Si tratta di un angolo di fortuna per dare un po’ di riservatezza alla decina di colleghe volontarie che si cambiano durante i turni. I pompieri di Bellinzona contano circa 200 effettivi di cui 120 urbani e 80 di montagna. Di questi, solo 17 sono professionisti ma ancora nessuna figura femminile tra loro: «Non facciamo distinzioni di nessun genere ma è importante essere fisicamente idonei soprattutto per questioni di sicurezza». La squadra di volontari è molto eterogenea tra studenti, docenti, muratori e selvicoltori: «Siamo interessati a diverse caratteristiche e competenze, a partire dal senso pratico». Qualità utili in via Mirasole 14a dove il personale non se ne sta con le mani in mano tra un incendio e un’alluvione: «Abbiamo diversi compiti da svolgere per la Città, dai lavori di officina per il suo parco macchine alla cura della segnaletica provvisoria. Poi per i volontari organizziamo corsi di aggiornamento e formazione continua». Sono proprio i volontari la forza che ha reso possibile il recupero record dall’intervento post-Gambarogno: «Dopo ogni chiamata bisogna sistemare tutto il materiale e prepararlo al prossimo utilizzo – ha chiarito Barenco –, così abbiamo chiamato 40 volontari e il giorno dopo lo spegnimento dell’incendio tutta l’attrezzatura era pronta». Come ogni anno ci sarà il reclutamento di nuove leve volontarie ma per la prima volta avverrà in modo coordinato a livello cantonale: «Solitamente abbiamo bisogno di una decina di reclute nuove all’anno». Il 10 maggio si terrà un incontro contemporaneamente alle altre sedi dei pompieri in Ticino. Questo in attesa della giornata di selezione in programma a Tenero il 24 settembre prossimo.