Una «Schengen militare» per la sicurezza europea

A Bruxelles la chiamano già la «Schengen militare», anche se per ora vale soltanto per i 27 Stati membri dell’Unione. L’idea di fondo, però, è molto simile: estendere la libertà di circolazione che già riguarda persone e merci a truppe, fregate e carri armati per facilitare i loro spostamenti nel continente. La ragione l’ha spiegata Kaja Kallas, ex premier estone oggi a capo del servizio diplomatico dell’UE, durante una conferenza stampa di presentazione del pacchetto sulla mobilità militare: «Più rapidamente riusciamo a spostare le forze, maggiore sarà la nostra capacità di deterrenza e difesa». Insomma, il piano è «una polizza assicurativa per la nostra sicurezza». Il convitato di pietra è la Russia: secondo i report condivisi dalle intelligence europee con Bruxelles, nei prossimi cinque anni Mosca potrebbe attaccare un Paese membro dell’UE e della NATO per testarne la risposta. Ecco perché entro il 2030 l’Unione vuole farsi trovare pronta: «La fanteria vince le battaglie, ma la logistica vince le guerre», ha affermato un altro ex premier del Baltico (regione che conosce il fiato russo sul collo), il commissario alla Difesa Andrius Kubilius, lituano. «L’Europa è pronta per la pace, ma se vogliamo la pace dobbiamo prepararci alla guerra», ha aggiunto il collega responsabile dei Trasporti, il greco Apostolos Tzitzikostas.
Velocizzare le richieste
Gli ostacoli da scardinare non sono pochi. La burocrazia statale, in alcuni casi, richiede fino a 45 giorni di preavviso prima di autorizzare il trasferimento di unità ed equipaggiamenti, ad esempio in occasione delle esercitazioni militari. «Undici anni dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia, non è più sufficiente» attendere così a lungo, ha insistito Kallas. Parte del piano per il riarmo e la preparazione alle minacce esterne, la Commissione Europea - l’organo esecutivo dell’UE - vuole adesso ridurre a tre giorni al massimo i tempi necessari per ottenere un permesso. La decisione se approvare o meno un attraversamento rimane di competenza nazionale, ma dovrà arrivare velocemente. In caso di emergenza, però, gli eserciti non dovrebbero aspettare l’ok: basterebbe notificare lo spostamento con sei ore di anticipo, e i convogli militari potrebbero mettersi in movimento vantando, oltretutto, la precedenza su quelli civili. Sempre in caso di allarme, agli eserciti non si applicherebbero regole UE come gli obblighi di riposo per gli autisti di mezzi pesanti o le procedure doganali per ciò che arriva da fuori la frontiera, alimenti compresi; mentre verrebbero alleggerite le norme sul trasporto di merci pericolose o i divieti di movimenti militari nei festivi. Oltre agli iter amministrativi, sotto i riflettori finiscono in particolare le infrastrutture “dual use” (cioè a doppio impiego, civile e militare): tunnel ferroviari troppo stretti, ponti incapaci di sostenere le 60 tonnellate dei carri armati, scartamenti inadatti ai convogli militari, o ancora porti dai fondali non abbastanza profondi per accogliere fregate di grandi dimensioni o piste d’atterraggio troppo corte per consentire i rifornimenti dei velivoli.
Quattro corridoi strategici
Una relazione speciale di aprile della Corte dei Conti europea, ad esempio, riporta il caso di uno Stato che avrebbe negato il passaggio a una colonna di tank per via del superamento dei limiti di peso previsti dal suo codice della strada. L’obiettivo UE è intervenire sulle infrastrutture civili lungo quattro corridoi strategici che solcano il continente, individuati di concerto con la NATO. Circa 500 snodi nevralgici sono già stati selezionati preventivamente, ma rimangono secretati: sono strade, ponti, tunnel, ferrovie e aeroporti da rafforzare o adattare. Il costo stimato da Bruxelles è di circa 100 miliardi di euro, da finanziare con fondi nazionali, europei (Bruxelles ne stanzierà oltre 17, ma solo post-2028) e del settore privato. I benefici non saranno misurabili solo per la difesa, assicura Tzitzikostas: anzi, le migliorie «nel 99,9% dei casi serviranno a cittadini e merci». Prima di diventare definitivo, il pacchetto dovrà essere approvato dai governi riuniti nel Consiglio e dall’Europarlamento. Si tratta, insomma, di regole applicabili solo ai Paesi UE, come ha chiarito la Commissione. Il tema della mobilità militare, tuttavia, è anche terreno di intese fuori dall’Unione, nel quadro della PESCO, la cooperazione strutturata permanente in materia di difesa. Come Norvegia, Canada e Stati Uniti prima di lei, da quest’anno la Svizzera fa parte di un progetto dedicato, coordinato dai Paesi Bassi, con l’obiettivo di semplificare e standardizzare le procedure nazionali di trasporto militare transfrontaliero, senza intoppi e attraverso i confini, quelli elvetici compresi. Naturalmente, previa autorizzazione e in tempo di pace. In caso di conflitto, invece, la Convenzione dell’Aja sulla neutralità proibisce ai belligeranti di far transitare truppe o convogli - siano essi munizioni o approvvigionamenti - attraverso il territorio di una potenza neutrale. Gabriele Rosana