Il caso

«Una tragedia che suscita reazioni ma l’ateneo non va monopolizzato»

Mario Del Pero (SciencesPo) interpreta il momento e l’ondata di proteste studentesche che in questi giorni ha interessato diverse università occidentali: «C’è la percezione che Israele voglia sottrarsi ad alcuni principi» - In Francia e negli USA pesano anche le prossime elezioni
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Francesco Pellegrinelli
10.05.2024 06:00

Nel segno comune di una militanza e di un attivismo politico pro-Gaza. Su entrambe le sponde atlantiche. Stati Uniti, Parigi, Roma, Vienna, Dublino, Amsterdam, Losanna e Ginevra. Gli studenti si mobilitano. Occupano spazi e rivendicano il boicottaggio delle relazioni accademiche con le università israeliane. «La tragedia umanitaria a Gaza suscita emozioni forti e reazioni conseguenti». Mario Del Pero è ordinario di Storia internazionale a SciencesPo a Parigi, teatro negli scorsi giorni - come altrove - di scontri tra studenti e forze dell’ordine.

Doppio standard giuridico

Di tragedie umanitarie - facciamo però notare - ce ne sono tante. Perché, gli studenti si mobilitano per questa? «Nel caso degli studenti americani, gli Stati Uniti sono il principale fornitore d’armi di Israele oltre ad essere il suo principale alleato». Più in generale, spiega Del Pero, «ci si sente coinvolti in quanto Israele fa parte della comunità delle democrazie occidentali. Eppure, si ha la percezione che voglia sfuggire ad alcuni principi di condotta della guerra che invece chiediamo vengano applicati altrove». Un doppio standard giuridico che parte della società occidentale disapprova. Da non sottovalutare, poi, lo spirito emulativo. «Studenti di SciencesPo, negli scorsi giorni, hanno cercato di piantare tende nel campus. Non si era mai visto».

Alla logica che accomuna diversi collettivi studenteschi, però, le università (e gli Stati) hanno risposto in questi giorni con scelte eterogenee. A Dublino, per esempio, la direzione della prestigiosa Università Trinity College si è impegnata a disinvestire nelle società israeliane che svolgono attività nei territori palestinesi e che sono sulla lista nera delle Nazioni Unite. Altrove, invece, l’occupazione studentesca è terminata con lo sgombero forzato. «A Reims l’amministrazione e le forze dell’ordine hanno reagito con insolita durezza», commenta ancora Del Pero. «Ci sono stati scontri. E questo, credo, sia l’errore più grave che possiamo commettere. Perché è sbagliato. E perché è controproducente».

Rispondere con la forza esaspera le tensioni e non soffoca le proteste. Anzi finisce per alimentarle. «Il nostro compito come docenti e amministratori è mantenere sempre un canale di comunicazione aperto e far prevalere il buon senso».

Il contesto politico

Del Pero non esclude neppure che l’intervento muscolare delle forze dell’ordine sia riconducibile in parte anche al particolare clima politico. «In Francia siamo nel pieno della campagna elettorale per le elezioni europee. Tutti i sondaggi lasciano presagire un’ampia vittoria della destra di Marine Le Pen. Non escludo, quindi, che le forze governative alleate di Macron stiano cercando di competere con la destra sul terreno della legge e dell’ordine e, in una certa misura, della repressione».

Un discorso che, secondo l’esperto, può essere esteso anche agli Stati Uniti: «Dopo la pandemia, c’è stata una nuova e importante crescita della curva della criminalità e micro-criminalità urbana». Per quanto lontani dai picchi degli anni Novanta, il numero di omicidi e furti è cresciuto, legittimando - agli occhi di una parte di società - una certa condotta della polizia che per anni, invece, è stata contestata.

Secondo Del Pero, quindi, gli studenti si troverebbero confrontati con un contesto politico particolare, segnato da un’opinione pubblica che, alla vigilia di importanti appuntamenti elettorali, non disdegna il pugno duro. «Così, almeno, in Francia e negli Stati Uniti».

Politecnico vs università

E in Svizzera, invece? Come spiegare il profondo divario di attitudine dimostrato dal Politecnico federale di Zurigo rispetto alle università cantonali di Losanna e Ginevra dove ha prevalso il dialogo senza l’intervento delle forze dell’ordine? La presidente di swissuniversities Luciana Vaccaro martedì, su queste colonne, sottolineava che «spetta a ogni singola università valutare fino a che punto dialogare e a partire da quale momento usare la fermezza». Una questione, per quanto attiene al caso confederato, da ricondurre anche ad aspetti legati alla sicurezza e al valore della strumentazione tecnica presente al Politecnico di Zurigo, rispetto alle università romande, che - in un certo senso - hanno potuto favorire maggiormente il dialogo con gli occupanti.

La libertà accademica

E il singolo professore, invece, come deve comportarsi? Il pericolo di una politicizzazione degli spazi accademici è stato evocato anche da Vaccaro, secondo cui «la libertà accademica non va confusa con il credo politico». Del Pero ammette che «nel corpo insegnante non tutti la pensano allo stesso modo». La vicenda di Gaza dopo il 7 ottobre scatena emozioni forti anche tra gli studiosi, a maggior ragione se il campo d’indagine si sovrappone a questioni inerenti il conflitto. Non a caso, tanto in Europa quanto negli USA, i maggiori eventi di protesta si sono riscontrati nelle facoltà di scienze politiche. «La mia posizione personale, è che noi, in quanto studiosi, nei nostri piccoli spazi di tribuna - ovvero sui media e nelle pubblicazioni - abbiamo ogni diritto di esprimerci liberamente. Tuttavia, obbligare le istituzioni ad adottare le nostre posizioni è problematico. L’istituzione è un ente plurale composto da individui con una vasta gamma di idee. Trovo quindi problematica la richiesta - difesa dagli studenti e in alcuni casi sostenuta dai professori - di obbligare le istituzioni a prendere una posizione politica. Pur potendo esprimere preoccupazioni, le istituzioni non dovrebbero assumere posizioni politiche, poiché ciò non rientra nei nostri compiti istituzionali». Di qui, l’importanza del dialogo all’interno del singolo ateneo come prova tangibile di pluralità e confronto. «Globalmente ritengo che SciencePo abbia gestito bene l’emergenza. Tuttavia, intervenendo con la polizia nel campus di Reims, martedì scorso, credo che abbia commesso un errore». Soprattutto considerando che, nei mesi precedenti, la prestigiosa università è stata teatro di numerose proteste studentesche su questioni non inerenti Gaza e, in tali occasioni, l’occupazione non è mai stata contrastata dalle forze dell’ordine. «Come istituzione, non possiamo far passare il messaggio che vi sia un trattamento diverso per coloro che manifestano a sostegno di Gaza. Come dicevo, ci vuole buon senso».