Valle di Muggio: lo strano marchingegno «in pensione» da un secolo

Sembra quasi lì a riposare e ad osservare, dopo tanta fatica, il risultato del suo lavoro. Salendo in Valle di Muggio da Morbio non si può fare a meno di notarlo, con le sue geometrie che rievocano epoche passate e un vestito di ruggine che spicca sullo sfondo verde di un praticello. Staziona da anni vicino al vecchio ponte fra Bruzella a Cabbio, che ha contribuito a costruire. Proprio così: il protagonista della nostra storia è un impianto di frantumazione mobile di pietre per la produzione di ghiaia e pietrisco, come spiega il presidente del Museo etnografico della Valle di Muggio Silvio Bindella. Museo che ne è proprietario. «Proviene da una donazione del nostro primo presidente Oreste Zanetta – racconta Bindella – ed è presumibilmente stato usato durante la costruzione, nel 1909, del vecchio ponte Bruzella-Cabbio in ferro e pietra, che si trova ancora lì accanto. È una bella testimonianza dei progressi tecnici che in quegli anni permisero la costruzione di numerose infrastrutture viarie in valle».
Prima si andava su e giù
Quel macchinario che agli occhi moderni può sembrare strambo, un tempo è stato geniale e decisivo per la comunità che lo ha utilizzato. Come rievoca il libro Valle di Muggio allo specchio. Paesaggio incantevole, paesaggio mutevole a cura di Paolo e Silvia Crivelli (2017), in passato l’unico collegamento fra due villaggi divisi da una valle era una strada che scendeva fino al fiume, lo superava grazie a un piccolo ponte costruito con materiali locali e poi risaliva il versante opposto. I mezzi di trasporto dell’epoca erano attrezzati per affrontare quei dislivelli, ma chi li percorreva, magari ogni giorno, faceva una vitaccia. La svolta è arrivata all’inizio del ventesimo secolo grazie alla rivoluzione industriale, che ha diffuso l’uso del ferro e dell’acciaio stimolando gli ingegneri ad adottare soluzioni innovative, anche ardite. In Valle di Muggio sono cominciati a spuntare imponenti ponti in ferro che hanno portato il tracciato stradale in quota, rendendolo pianeggiante. La nuova rete viaria rispondeva alle esigenze di un traffico che iniziava a motorizzarsi. Evitava stretti tornanti, correggeva dove è possibile i precedenti tracciati, ne disegnava altri radicalmente diversi che correvano al livello dei villaggi, introduceva nuovi manufatti e materiali da costruzione. «Esaminata con i criteri attuali, appare cosa modesta – osservano Paolo e Silvia Crivelli nel loro volume, edito dal Museo etnografico – Di fatto essa rappresenta un’opera ragguardevole realizzata in un’epoca di notevoli ristrettezze finanziarie».
Un’opera da cartolina
Il vuoto naturale fra Bruzella e Cabbio, in fondo al quale scorre il torrente Crotta, è stato superato con un ponte lungo un centinaio di metri e alto una cinquantina costituito da sei archi a tutto sesto e da una travata metallica appoggiata su piloni in sasso. A realizzarla erano state le ditte Wartmann di Brugg e Vallette di Ginevra, mentre a gestire il cantiere c’era l’impresa Cesare Bossi di Bruzella. Anche il costo è d’epoca: centotredicimila franchi per i lavori di muratura e trentacinquemila per la parte in ferro, garantiti per tre quarti da un sussidio stanziato dal Gran Consiglio nel 1912, tre anni dopo il collaudo del ponte. «Le numerose cartoline stampate – recita ancora il libro – testimoniano il valore attribuito al manufatto e al suo inserimento nel paesaggio». In una cartolina, il nostro macchinario che spaccava le pietre non ci è mai finito, ma il suo lavoro l’ha portato a termine e ora, a distanza di un secolo, è lì a ricordarlo.