Venne il giorno della 100. provocazione

Quando ero piccolo, mia madre amava vestirmi di rosa. Da qualche parte, abbiamo una fotografia di me a un matrimonio, in training color maialino. Non è questo il tema dell'articolo di oggi, ma – se ho fatto bene i conti – siamo alla centesima edizione della rubrica; pensavo fosse bello condividere qualcosa di personale con chi, dal 20 febbraio 2009 ad oggi, ha avuto la pazienza e il coraggio di seguirmi. Taglio brusco.
«Appena il 29% degli italiani possiede ancora gli strumenti linguistici per padroneggiare l'uso della nostra lingua nazionale. Il 71% della popolazione si trova al di sotto del livello minimo di lettura e comprensione di un testo di media difficoltà». Così l'Ansa riferiva, giorni fa, i risultati di una ricerca condotta dal linguista Tullio De Mauro. Di conseguenza – in questo testo giubilare, tra frizzi lazzi e il sempre doveroso omaggio alle Bestie di Satana – mi sembra giusto e generoso offrirvi un testo mediamente complesso, per aiutarvi a capire la vostra collocazione sulla scala dell'analfabetismo di ritorno.
Provocazioni. Ho odiato questo titolo – fatto di una parola sfiancata svuotata e sfinita dall'abuso – fin dal primo secondo. Per non parlare di quanto mi ha vincolato. In questi due anni e mezzo, anche quando avrei voluto mostrarvi il lato più sensibile del mio animo, e scrivere di gattini batuffolosi afflitti da Spritzdurchfall, l'esigenza di provocare – non fosse che l'abuso di antiemetici nel lettore – mi è sempre ciondolata sopra la tastiera e la testa come il pendolo di Edgar Allan Poe. A ogni modo – come per la storia dei vestitini rosa di mia madre – quando una persona provvede amorevolmente a te non è educato né elegante cavillare sulla forma. Così mi sono tenuto stretta questa colonna, come fosse l'ultima delle bolas in vendita la sera dell'ultimo dell'anno in via Besso.
Venuto a patti con il titolo Provocazioni, non ho comunque rinunciato, come Sisifo sulla collina, a spingere il concetto – liso e consunto dalla permanenza sulla pianura delle idee – verso una dimensione più alta. E qui entra in scena Martin Heidegger. Il caso vuole che – poco prima di ricevere in dono la rubrica – mi fossi cimentato accademicamente proprio con il concetto di pro-vocazione, nella torsione ad esso impressa dal filosofo silvano.
Con la sua proverbiale tendenza a slogare il linguaggio comune, la visione heideggeriana –descrivendo l'approccio della Modernità al mondo – ha reinventato diverse parole del quotidiano. Così «fondo» (Bestand) è quel che resta del Pianeta dopo la campagna di aggressione e conquista orchestrata dalla tecnica, la quale – con la sua «imposizione» (Gestell) – seduce e assoggetta l'uomo, a sua volta ridotto a inerme funzionario della megamacchina.
Non perdetevi d'animo: la ripida salita concettuale sta per scollinare nel significato che cercavamo. Scrive Heidegger: «Il dis-velamento che vige nella tecnica moderna è una pro-vocazione (Herausförderung) la quale pretende dalla natura che essa fornisca energia che possa come tale essere estratta e accumulata. Ma questo non vale anche per l'antico mulino a vento? No. Le sue ali girano sì spinte dal vento, e rimangono dipendenti dal suo soffio. Ma il mulino a vento non ci mette a disposizione le energie delle correnti aeree perché le accumuliamo». Ancora oggi, è così che mi piace intendere il titolo di questa rubrica: come l'indicazione di una logica negativa e mortifera – con manifestazioni più numerose delle teste dell'Idra – alla quale dobbiamo almeno provare a resistere.