L'intervista

Vertice di Tianjin, l'esperto: «Pechino offre un’alternativa stabile agli “umori” di Trump»

Con Matteo Dian, professore di di Relazioni internazionali dell’Asia Orientale all’Università di Bologna, analizziamo l'incontro dei leader del "Sud globale" organizzato dalla Cina
©Alexander Kazakov
Paolo Galli
01.09.2025 22:00

Professore, qual è secondo lei l’aspetto principale da ritenere del vertice di Tianjin?
«Sicuramente la capacità cinese di organizzare un vertice simile, ospitando - tra le altre - Russia e India. Di farlo, per giunta, in un periodo in cui, dall’altra parte, c’è Donald Trump che sta alienando alleati e partner. Basti pensare alla differenza di approccio, molto visibile, rispetto all’India. Le amministrazioni americane precedenti puntavano molto sull’idea di un Indo-Pacifico influenzato dagli Stati Uniti e forte di alcune solide democrazie. Mentre qui, oggi, vediamo l’India, nonostante tutti i suoi problemi di confine e di mancanza di fiducia reciproca, riavvicinarsi in modo piuttosto netto a Pechino. E poi emerge il sostegno aperto cinese alla Russia. O comunque l’impressione che non ci sia un particolare freno alle ambizioni russe in Europa. Insomma, la novità è che non parliamo più “solo” di un’intesa nel cosiddetto Sud globale, ma di un fronte più ampio, che coinvolge l’Asia centrale, unendo tre grandi potenze come Cina, Russia e India. Un segnale preoccupante, per l’Occidente, proprio perché va formandosi una mappa di interessi opposti. Un progetto non sicuramente unitario, perché su vari aspetti mancano gli accordi, ma che assegna un ruolo chiaro di leadership alla Cina».

La Cina in queste ultime settimane ha mantenuto una sorta di distanza rispetto ai grandi fatti del mondo.
«Il messaggio che Pechino vuole mandare al mondo è di alternativa stabile all’America di Trump. Mentre il presidente americano negozia e rinegozia su tutto, anche in una forma spesso umorale, mettendo in difficoltà sistematicamente la controparte e non dando mai l’idea di stabilità e sicurezza, dall’altra parte Xi Jinping punta su un altro approccio, opposto. Un’alternativa persino prevedibile, ma stabile. Poi l’idea del mondo secondo Xi è piuttosto chiara, e prevede la vittoria russa nel conflitto sull’Ucraina, accettando che Mosca abbia una sua sfera di influenza, che potenzialmente potrebbe includere anche l’Ucraina stessa. E nel conflitto di Israele a Gaza, la posizione di Pechino è sempre più filo-palestinese. I dazi, poi: la Cina ritiene siano un danno al commercio internazionale, e li condanna in modo esplicito. Sono posizioni chiare, non urlate e non soggette a cambiamenti veloci e improvvisi come quelli che caratterizzano l’amministrazione Trump».

L’Occidente come dovrebbe guardare a queste alleanze?
«Con una certa preoccupazione, in particolare pensando al fronte ucraino e all’idea di sicurezza europea della Russia. Il sostegno della Cina, ma non solo, a Putin è chiaro, e Putin stesso ha ricordato quanto non si senta legato ad alcun tipo di norma internazionale, a cominciare da quella della non aggressione di uno Stato vicino. La Russia si vuole ricostruire come grande potenza, proiettandosi sul continente europeo, forte ora dell’appoggio di Pechino. E se ciò che Putin ha fatto è giustificabile, allora anche Giappone e Taiwan, su tutti, hanno il diritto di preoccuparsi. Poi, ovviamente, in Russia e in India, nel lungo periodo si può temere un ruolo eccessivamente egemonico della Cina, ma al momento questa è la carta che si possono giocare, una carta molto importante, soprattutto rispetto all’Occidente indebolito da Trump».

La presenza di Trump è un rafforzatore dell’intesa nel Sud globale. Lui ora reagirà. Ma come?
«Forse attraverso un ulteriore deterioramento dei rapporti con l’India. E questo è un problema, anche perché l’affidabilità della coalizione dell’Indo-Pacifico, storicamente, si basava proprio sulla resilienza delle democrazie rispetto agli autoritarismi. Ma per gli Stati dell’Asia sono fondamentali la stabilità dei mercati, l’accesso alle esportazioni, integrarsi all’economia globale: tutto ciò che ha permesso loro di uscire da uno stato di relativa povertà e di svilupparsi. Gli Stati Uniti, oggi, rappresentano un fattore di instabilità. E non tanto per i dazi, quanto per l’incertezza che generano. Ed ecco l’alternativa offerta da Pechino, per cui ognuno è padrone di fare ciò che vuole in casa propria».

Domani infatti ci sarà anche Kim Jong-un alla parata.
«Esatto. I regimi autoritari e oppressivi stanno uscendo dall’angolo e si affiancano in questa coalizione antiliberale e antidemocratica».