Hockey

Vicky Mantegazza: «Il titolo non è un'ossessione, ma sta nascendo qualcosa di bello»

La presidente dell'HC Lugano fa il bilancio della stagione e getta lo sguardo sul futuro del club bianconero
Il Lugano è fuori dai playoff, ma Vicky Mantegazza guarda già con entusiasmo alla prossima stagione. ©CdT/Gabriele Putzu
Flavio Viglezio
03.04.2024 06:00

È trascorsa quasi una settimana dall’eliminazione del Lugano dai playoff. A mente fredda, la presidente del club bianconero traccia il bilancio della stagione e getta un occhio al futuro della squadra: «Le fondamenta sono ormai solide, ora si tratta di costruire il resto della casa», afferma Vicky Mantegazza.

Vicky Mantegazza, quali sentimenti prevalgono oggi, a poco meno di una settimana dall’uscita di scena dai playoff per mano del Friburgo?

«Uscire dai playoff non fa naturalmente mai piacere. Ogni anno c’è la speranza di trovare la giusta chimica che permetta di arrivare fino in fondo. La delusione rimane, insomma. Devo però dire che ho visto un gruppo giovane crescere su tutto l’arco del campionato, un gruppo sul quale si può lavorare bene. Io provengo dal settore immobiliare ed è un po’ come costruire un palazzo: si comincia dalle fondamenta e in seguito si procede piano dopo piano, fino a quando si arriva a tetto. Le basi sono solide, ora si tratta di proseguire sulla via tracciata».

Cosa ha apprezzato Vicky Mantegazza del suo Lugano e cosa, invece, va migliorato per effettuare un salto di qualità?

«È ancora un po’ presto per dare una risposta definitiva a questa domanda. Gli incontri in programma in questi giorni ci aiuteranno a capire la situazione nella sua globalità. Senza puntare il dito contro nessuno, ci sono sicuramente stati alcuni elementi che non hanno reso secondo le aspettative: bisogna capire il perché, per trovare le giuste soluzioni. In generale è stata una stagione molto intensa, durante la quale non ci siamo mai annoiati. E nonostante tutti gli infortuni che abbiamo avuto, non ci siamo mai pianti addosso: spero però vivamente, per quel che riguarda la sfortuna, di aver pagato tutto il prezzo quest’anno e di non dover più vivere una stagione così».

Alla Cornèr Arena si è comunque respirata un’aria nuova. Serenità e positività non sono mai venute a mancare a livello di dirigenza, di staff tecnico e di giocatori…

«A inizio estate ci siamo trovati con Hnat Domenichelli, Andy Näser, Marco Werder, Luca Gianinazzi e Krister Cantoni: ci siamo detti che in questa stagione l’obiettivo era di portare solo positività, a tutti i livelli. Questa era la nostra priorità. Siamo così stati in grado di non lasciarci mai prendere dal panico: la tranquillità non è mai venuta a mancare, anche nei momenti difficili. Abbiamo capito che solo la stabilità permette di creare un gruppo unito, in cui tutti remano nella stessa direzione».

Le fondamenta sono solide, il processo di crescita è chiaro. Cosa manca a questo Lugano per effettuare un salto di qualità anche a livello di risultati?

«Me lo sono chiesta parecchio pure io, in questi giorni. Prendo come esempio i quattro minuti di superiorità numerica avuti nelle fasi finali di gara-7 a Friburgo: ecco, in una situazione simile una squadra matura riesce a fare la differenza. Sì, al Lugano manca ancora questa maturità, ma sono convinta che esperienze di questo tipo ci aiuteranno a crescere: penso in particolare ai tanti giovani che erano al loro debutto a questi livelli. Lo Zurigo, in gara-1 di semifinale con lo Zugo, ha segnato tre reti quando ha potuto disporre di cinque minuti in power-play. Questo è il punto principale sul quale lavorare».

Quando a Lugano arrivò Chris McSorley, il club dichiarò di voler puntare al titolo svizzero entro tre-cinque anni. Con tutto ciò che è accaduto in questo periodo, vincere il campionato rimane un traguardo raggiungibile o Vicky Mantegazza guarda maggiormente ad un processo di crescita a medio-lungo termine?

«Il titolo non è un’ossessione, ma il desiderio di tornare ai vertici rimane. Grazie o a causa della sua storia il Lugano è un club giudicato per i suoi risultati: ancora oggi fa più notizia quando non ha successo. Questo è un dato di fatto. L’ho già detto tante volte: non siamo più il Lugano dominante degli anni ottanta. Devo essere sincera: con le strutture a disposizione e con il pubblico che frequenta la Cornèr Arena diventa sempre più difficile tenere il passo di alcuni club della Svizzera tedesca e ora anche della Romandia. Club che riescono addirittura a fare utili, grazie alle loro nuove piste. Per noi diventa sempre più complicato ingaggiare dei top-players: dobbiamo allora essere bravi a costruire puntando su giovani di talento, azzeccando gli stranieri e mettendo sotto contratto quei due o tre giocatori svizzeri che possono fare la differenza».

C’è la volontà di investire qualcosa in più rispetto agli ultimi anni o il budget a disposizione di Hnat Domenichelli rimarrà invariato?

«Ad inizio stagione il nostro direttore sportivo riceve un budget da parte del CdA, che deve ovviamente rispettare. Vogliamo rimanere con i piedi per terra, anche perché non dobbiamo dimenticare che la pandemia di coronavirus ha lasciato tracce pesanti a livello economico. Oggi ci sono club che non hanno problemi ad accaparrarsi a cifre esorbitanti giocatori che poi magari trovano anche poco spazio. Noi questo non possiamo permettercelo. Siamo un piccolo Cantone, con tanti club sportivi».

I giocatori stranieri sono sempre un po’ incognita. In pochi conoscevano Michael Joly e il canadese ha disputato un’ottima stagione. Arttu Ruotsalainen giocava in NHL, ha disputato un grande campionato con il Kloten, ma a Lugano ha deluso...

«L’ho detto io stessa pochi giorni fa a Hnat Domenichelli: la scelta dei prossimi stranieri è fondamentale per il nostro futuro. Tutte le squadre più forti, in Svizzera, hanno almeno tre import capaci di trascinare il gruppo. A noi piace guardare anche al carattere di un giocatore, la leadership in uno spogliatoio è molto importante. L’intenzione è di iniziare la prossima stagione con sei stranieri, anche perché abbiamo deciso di puntare su due portieri rossocrociati. Con Koskinen avevamo invece scelto di avere subito sette import a disposizione per permettere a Gianinazzi di averne sempre sei sul ghiaccio. Poi, è chiaro, quasi sempre a novembre si va sul mercato: infortuni, rendimento e tanti altri fattori influenzano le decisioni sul contingente degli stranieri».

Il Lugano ha deciso di rinunciare a Markus Granlund…

«Dispiace sempre perdere un giocatore così: Granlund era anche un assistente del nostro capitano. È stato un elemento importante anche nel nostro spogliatoio, ma ha vissuto una stagione difficile, condizionata anche da un serio infortunio. Noi dobbiamo sempre pensare al bene dell’HC Lugano ed allora credo che mi toccherà soffrire vedendolo giocare contro di noi».

A proposito di capitano: cosa augura, Vicky Mantegazza, a Calvin Thürkauf?

«Se devo essere sincera, spero ovviamente di avere Calvin ancora con noi nella prossima stagione. Allo stesso tempo, se dovesse partire per il Nordamerica, sarei felice per lui. Thürkauf ha disputato una stagione eccezionale, forse anche difficile da ripetere. Domenichelli è stato bravissimo ad andare a prendere un giocatore che lo Zugo aveva quasi messo nel dimenticatoio. Sono una romantica e mi auguro che il suo attaccamento al Lugano risulti decisivo (sorride, NdR). Calvin si è integrato perfettamente nella nostra realtà, in Ticino ha trovato casa. Penso che Thürkauf potrebbe lasciarci solo per qualcosa di certo e sicuro, non solo per provare qualcosa senza nessuna garanzia».

Alla Cornèr Arena è tornato l’entusiasmo: 5'900 spettatori in gara-6 con il Friburgo, nell’ultima partita casalinga della stagione, sono però pochi. Riportare il grande pubblico in pista è ormai una battaglia persa?

«Ci siamo resi conto che, per affluenza nelle partite casalinghe della regular season, siamo al 12. posto. Siamo invece al 4. rango di questa classifica per le partite in trasferta: il pubblico avversario va insomma volentieri a vedere il Lugano quando la sua squadra gioca in casa. Io chiedo a tutti di aiutare a ricostruire quel fortino che una volta era la Resega ed oggi è la Cornèr Arena. Ogni partita è importante, per noi, non solo i derby o i playoff. In questo senso voglio davvero ringraziare la Curva Nord, che in questa stagione ci ha sostenuti dalla prima all’ultima partita, creando un legame speciale con la squadra. È stata il cuore della pista. Poi, certo, come ho avuto modo di dire l’infrastruttura non ci aiuta. Il mio sogno? Svegliarmi una mattina ed avere una pista nuova come quella del Friburgo. Non è però una critica alla Città, che cerca sempre di darci una mano».

L’impressione è che Vicky Mantegazza abbia ritrovato l’entusiasmo dei giorni più belli…

«Sì, sono più entusiasta del solito, perché sento che sta davvero nascendo qualcosa di bello».

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