Voci dalle valli: «Dopo la paura, la forza di lottare»

La memoria è come un terreno argilloso. Entrambi vanno coltivati. Occorre prendersene cura. Tanto più quando le cose non vanno come previsto, perché se tutto procede senza problemi non ci facciamo nemmeno caso se i ricordi fanno ancora capolino nella nostra mente o se quella pianta verso la quale nutriamo curiosità e speranza sta crescendo come desideriamo. Quando succede qualcosa che ti stravolge la vita, invece, ecco che allora tutto si ferma. Ci lascia attoniti. Impauriti. Turbati. Figuratevi se è il mondo, il nostro piccolo mondo, a non uscire scalfito come capita con regolarità, ma addirittura devastato. È passato un anno dal maltempo che ha messo in ginocchio dapprima la Mesolcina (il 21 giugno 2024) ed in seguito l’Alta Vallemaggia (nella notte tra il 29 ed il 30 giugno). Le due valli si sono subito rialzate. Il grosso del lavoro è stato fatto. La solidarietà immensa. Ma rimangono, comprensibilmente, timore ed ansia ogniqualvolta la pioggia scende più copiosa del normale. Per una volta, dunque, abbiamo deciso di non interpellare sindaci ed esperti, ma di dar voce alle persone «comuni». Per capire come hanno vissuto quelle terribili settimane e, soprattutto, come è cambiata la loro vita a dodici mesi dalla tragedia.


«Non mi piango addosso»
«Quel disastro ha lasciato inevitabilmente un segno, ma ho deciso di guardare avanti, affrontando la vita nel presente», ci racconta Raffaele Speziale, agricoltore di 46 anni dalla sua casa a Brontallo, in Lavizzara. La sua stalla si trovava invece a Fontana ed è stata distrutta dalla devastazione del maltempo. «Alla fine non ha senso continuare a piangersi addosso - prosegue - con il lavoro che faccio, non ho il tempo di soffermarmi su ciò che è successo. In un certo senso posso dire che mi ci sono abituato». Speziale passa attraverso il punto dove c’è la grande frana tutti i giorni, «proprio là dove avevo la stalla, spazzata via dalla “furia” della natura». E, anche se le tracce dell’alluvione sono ancora sotto ai suoi occhi, spiega di non vivere con il timore, ma di pensare, invece, a ciò che si può fare in prospettiva: «Non ho paura quando c’è la pioggia forte, so che questi eventi possono ancora accadere. È la natura che comanda. Trovo sia importante, invece, ciò che faremo d’ora in avanti, ciò che vogliamo mettere in campo per la ricucitura del paesaggio in Val Bavona. È su questo che noi agricoltori dobbiamo lottare». Speziale ricorda anche la situazione della sua attività, al momento spostata a Cevio in una soluzione provvisoria: «Abbiamo avuto il via libera dal Dipartimento del territorio per costruire una nuova stalla, sempre in Bavona, e ci stiamo muovendo. Ma ci vorrà tempo, forse ancora un anno, prima dell’approvazione della domanda di costruzione».


Segni, ansia e parole
Un segno emotivo, l’alluvione che ha colpito l’Alta Vallemaggia, lo ha lasciato anche in Brunella Ribeiro Pereira, 51.enne agricoltrice e conducente di AutoPostale. «Quando piove forte provo ansia e temo per la caduta dei sassi», spiega dalla sua casa a Fusio, rievocando le sensazioni vissute di fronte al disastro. «Anche altre persone, soprattutto anziane, sono rimaste segnate profondamente da quanto capitato». Una circostanza che ha sorpreso la nostra interlocutrice: «Devo dire che non l’avrei mai pensato, perché gli anziani dovrebbero averne viste, di situazioni del genere, e anche più di tutti». Durante il disastro, puntualizza, «mi trovavo all’alpeggio in Alta Val di Peccia. Non abbiamo sentito nulla nella notte dell’alluvione, ma al mattino abbiamo trovato i danni. Nonostante la paura di quei momenti e il segno che hanno lasciato, cerco di andare avanti». Per farlo Ribeiro Pereira si trova con chi ha dovuto affrontare il medesimo percorso: «Parlo con altre persone che hanno vissuto la stessa esperienza e, così facendo, condividiamo le nostre preoccupazioni».

«Desideriamo tornare»
«Ripensare a quei momenti fa un effetto strano. Un anno intero è passato velocissimo». La voce che racconta il trascorrere di questi primi dodici mesi dal disastro in Mesolcina è quella di Nadia Scarpetta, residente di Sorte che, insieme ad una ventina di persone, ha dovuto abbandonare l’abitazione. «Non è facile. Certo, ci si adatta. Abbiamo trovato una sistemazione a Lostallo, ma non ci si sente mai come tra le proprie mura domestiche». La volontà, sempre viva, è quella di poter fare ritorno nel nucleo: «Sorte è letteralmente casa nostra e il desiderio è quello di ritornare. Lì c’è tutto ciò che abbiamo costruito in 30 anni di vita, i nostri figli ci sono nati e cresciuti». Un legame con il territorio condiviso anche dagli altri sfollati: «Ci sentiamo regolarmente e tra noi si è creata una bellissima unione, condividiamo pensieri e valutazioni sul nostro futuro». E, a proposito del domani, Scarpetta mantiene uno sguardo positivo: «Abbiamo cercato di guardare avanti con la speranza che la situazione volgesse al meglio, ma non è sempre facile. E non sempre si ha la voglia di farlo. La forza l’abbiamo trovata spinti dall’obiettivo: tornare alle nostre case». E questo anche attraverso momenti meno positivi. «Chi non ha passato questa esperienza non ha idea di cosa possa significare e delle conseguenze che abbiamo dovuto vivere. Non vedevamo mai una fine», afferma con un filo di commozione nella voce. A breve (con ogni probabilità durante l’incontro previsto il 3 luglio) le autorità si pronunceranno sul futuro di Sorte: «Abbiamo già avuto un incontro con il Municipio ma non c’è ancora nulla di certo».

Radici strappate
Uno scenario che si rispecchia nelle parole di Paola Tonolla, pure lei domiciliata a Sorte. Pure lei sfollata. «Non è stato un anno facile. In paese abitava anche mia mamma che ha 90 anni e che ha subito di più il contraccolpo di questo disastro. È la decana di Sorte e quella è la sua terra. Dovercene andare è stato come toglierle le radici». Anche Tonolla e la madre hanno trovato una sistemazione a Lostallo. «Stiamo bene, ma ogni tanto mia madre ripensa a tutto quello che aveva nella sua casa, i ricordi di una vita. E c’è naturalmente del dispiacere». Casa che ha subito diversi danni, «rivederla in queste condizioni è un tuffo al cuore». Ma non solo. La 90.enne ha anche perso il fratello, una delle tre vittime della tragedia. «Tuttavia anche per noi la voglia di tornare a Sorte c’è sempre stata e abbiamo fatto presente questa volontà alle autorità. Ora c’è stato un primo incontro con il Municipio e gli scenari ipotizzati dal Comune, con una possibile messa in sicurezza, ci hanno un po’ rasserenati». Un modo per intravedere uno spiraglio, «anche se la strada la si dovrà percorrere un passo dopo l’altro e con i piedi per terra».


Rialzarsi dalle macerie
A fare i conti con la furia del maltempo era stato anche il Grotto Sala a Lostallo, completamente devastato dal nubifragio. E che ora, a un anno di distanza, è rinato dalle sue macerie riaprendo le porte all’affezionata clientela. «Questa è una rinascita», sottolinea il proprietario Roby Giudicetti. «Ci è voluto naturalmente un bel po’ di lavoro e in questo ci hanno dato una grande mano i volontari». Pensando a come il grotto si presentava un anno fa, sommerso da fango e detriti, sembra quasi incredibile rivederlo ora, con i suoi tavoli di granito sotto agli alberi e le luci calde ad illuminare le serate estive. «Non sapevo nemmeno se avrei potuto riaprirlo. Vedendo lo stato del grotto ero indeciso se provare a svuotarlo o se invece riempirlo del tutto e lasciare perdere. Poi la speranza e la voglia di ripartire hanno avuto la meglio e adesso posso dire che c’è molta soddisfazione. Vedo le persone felici di poter tornare».