«Voleva uccidere per dei futili motivi», «No, cercava solo di difendersi»

Troppo rumore in piena notte. È stato il motivo scatenante della lite, culminata a colpi di coltello il 28 dicembre 2024 alla pensione Millefiori di Giubiasco e per la quale, questa mattina, un 49.enne siriano richiedente l’asilo è comparso davanti alla corte delle Assise criminali presieduta dal giudice Amos Pagnamenta (a latere Emilie Mordasini e Luca Zorzi).
L’uomo, quella notte, infastidito dal rumore provocato da chiacchiere e musica di altri due ospiti nella cucina della struttura, si era dapprima lamentato chiedendo di abbassare il volume e tra i protagonisti vi era stato un primo scontro fisico. L'imputato era quindi tornato nella cucina ma questa volta brandendo un coltello con il quale, nel corso di una colluttazione, ha sferrato dei fendenti che hanno colpito al viso uno dei due uomini procurandogli degli tagli superficiali. A carico dell’imputato pendono i reati di tentato omicidio intenzionale, in via subordinata di tentate lesioni gravi, in via ancora subordinata di lesioni semplici con oggetto pericoloso; esposizione a pericolo della vita altrui e tentata coazione. L’uomo si trova in regime di carcerazione preventiva dal momento dei fatti.
«Consapevole della gravità»
«Ha sferrato almeno due coltellate dirette al collo e al volto della vittima, colpendolo. Fatti confermati dalle persone che erano lì e hanno assistito alla lite. La sua intenzione era di accoltellare la vittima e aveva mirato proprio al collo, una parte vitale. Lo ha affermato lo stesso imputato e lo si legge nei verbali redatti», ha esordito il procuratore pubblico Pablo Fäh nella sua requisitoria, chiedendo per l’uomo una pena detentiva di 4 anni interamente da scontare più 8 anni di espulsione dalla Svizzera. Oltre a un trattamento ambulatoriale per ridurre il rischio di recidiva «attualmente forte».
«Voleva uccidere per dei futili motivi, mentre poteva benissimo comportarsi diversamente. L’imputato non ha cercato difendersi dai pugni che la vittima gli avrebbe tirato, come poi addotto, ma anzi ha allungato il braccio il più possibile per raggiungere il collo del rivale con la lama», ha proseguito il pp. E ancora: «L’imputato ha anche detto di rendersi conto che se avesse colpito la vittima in questo modo avrebbe potuto causarne la morte. Una chiara ammissione non solo del gesto ma anche della sua consapevolezza. Una confessione piena a pochi giorni dai fatti». Fatti che rappresentano, quindi per l’accusa, un tentato omicidio per dolo diretto.
Aggressività e paranoia
«In ogni caso, se dovessimo tenere per buone le successive dichiarazioni dell’imputato che ha detto di volersi solo difendere nel corso di una colluttazione, anche il fatto di sventolare un coltello vicino alla faccia di qualcuno durante dei momenti concitati, costituirebbe un tentato omicidio per dolo eventuale, poiché ci si assume un rischio elevato accettando la possibilità che il risultato si realizzi, ovvero causare la morte dell'altra persona».
Fäh ha anche evidenziato che, al momento dei fatti, il 49.enne si trovava sotto gli effetti della turba psichica di cui soffre. «L’imputato aveva già manifestato più volte dei seri problemi e il suo quadro clinico non ha fatto altro che peggiorare. A fine 2024, poco prima che si consumasse l’aggressione, erano già stati ordinati nei suoi confronti tre ricoveri coatti per gli atteggiamenti aggressivi che aveva manifestato al culmine delle sue paranoie».
Il segno delle torture
«Il mio assistito viene da un passato molto difficile», ha rilevato dal canto suo la difesa del 49.enne, rappresentata dall’avvocatessa Valentina Nero. Un passato difficile che ha portato l’uomo in Svizzera nel 2023 per cercare protezione vista la situazione nel suo Paese d’origine, dove era perseguitato per ragioni politiche. «L’imputato proviene da un contesto di estrema povertà in Siria, dove è anche stato incarcerato per diverso tempo in condizioni durissime. Ha subito torture fisiche e psicologiche».
Dopo il carcere, ha spiegato ancora la patrocinatrice dell’uomo, il 49.enne ha dovuto essere ricoverato in struttura psichiatrica poiché fortemente segnato da questa esperienza traumatica. «A seguito di un rifiuto a collaborare con il regime, è stato minacciato e ha deciso di lasciare il suo Pese arrivando in Svizzera». Qui è stato sottoposto a una presa a carico psichiatrica e il suo quadro nel 2024 è peggiorato. «Gli è stato diagnosticato disturbo da stress post traumatico. Anche le dichiarazioni rese subito dopo i fatti rispecchiano la sua fase di delirio, non era lucido».
«Non ha mai voluto uccidere»
«Al momento dei fatti il mio assistito si trovava nella fase più acuta della sua patologia e mostrava tratti di aggressività e paranoia», ha continuato Nero. «Gli è stata infatti riconosciuta una scemata capacità di agire e valutare il carattere delle proprie azioni». Quella notte, a mente della difesa, l’imputato era convinto di venire aggredito e ha cercato di difendersi. «Non ha mai preso in considerazione l’idea di uccidere la vittima e la sua vita, del resto non è mai stata messa in pericolo», ha evidenziato la difesa nella sua arringa. «Se il mio assistito avesse voluto davvero uccidere, i tagli sul collo ci sarebbero. Invece si tratta di ferite superficiali sul viso della vittima che suggeriscono un’azione confusa nel mezzo di una colluttazione. Non ha mai messo nemmeno in pericolo la vita dell’altra persona che era lì presente. La vittima, inoltre aveva assunto discrete quantità di alcol ed era conosciuto nella struttura per il suo carattere provocatore e aggressivo».
Per queste ragioni la difesa ha chiesto che a carico dell’imputato venga riconosciuto unicamente il reato di lesioni semplici, rimettendosi alla Corte per la commisurazione della pena.
«Non ero lucido»
«Mentalmente non ero lucido in quel momento», ha spiegato dal canto suo l’imputato – assistito da un’interprete – incalzato dalle domande del giudice durante l’interrogatorio in aula. «Avevo paura di quella persona con cui avevo discusso e non mi sentivo al sicuro. Aveva cercato anche di entrare nella mia camera. In più avevo un dolore alle mani che non mi permetteva di difendermi come volevo, quindi ho preso il coltello. Ma non era mia intenzione né accoltellarlo né ferirlo. Non l’ho toccato con la lama, le ferite che aveva al volto se le è procurate da solo con una forchetta, quando ha visto che io avevo in mano un coltello», ha detto, rievocando i momenti della colluttazione. Versione che però, ha evidenziato il presidente della corte, non coincide con le dichiarazioni rese in precedenza dall’imputato, nelle quali diceva di voler uccidere la vittima e di volerlo colpire con l’arma: «Questa è la quinta versione diversa che fornisce di quel momento». «Psicologicamente ero molto ammalato, non ero in me, non sapevo quello che dicevo», ha replicato a tal proposito il 49.enne. «Sono pentito di quanto successo», ha aggiunto l’imputato a cui è stato dato – come da prassi – il diritto all’ultima parola alla fine del dibattimento in aula. «Ora voglio solo poter tornare in Siria, mi manca la mia famiglia».
La sentenza è attesa nel pomeriggio.