Ucraina

Xi presenta il piano di pace: «Un tentativo di riposizionarsi»

A un anno dall’inizio del conflitto, Pechino pone le condizioni per una soluzione politica della crisi - L’esperta Simona Grano: «Un modo per profilarsi come forza mediatrice dopo gli errori commessi negli ultimi anni» - Per l’Occidente, il piano resta tuttavia inattuabile
©Chinatopix
Francesco Pellegrinelli
24.02.2023 20:18

Un anno dopo l’invasione russa, il piano di pace cinese. «Peccato che 24 ore prima, la Cina si sia astenuta dall’approvare la risoluzione sulla pace votata all’Assemblea generale dell’ONU». Secondo Simona Grano, professoressa all’Università di Zurigo, il documento rilasciato quest'oggi dal Governo cinese - per una soluzione politica alla crisi ucraina - «in alcun modo può essere considerato un piano per far finire la guerra». In questa operazione, sostiene l’esperta, la Cina non può essere considerata né obiettiva, né credibile: «Nonostante si ponga apparentemente in modo neutrale, la Cina è di parte». Del resto, Pechino non ha mai condannato l’invasione russa e, soprattutto, ha firmato, poco tempo prima dell’invasione, un accordo per una collaborazione «senza limiti» con Mosca.

«Con il piano di pace in dodici punti - prosegue l’esperta - assistiamo piuttosto al tentativo di presentarsi all’opinione pubblica in una nuova veste». Un cambio di strategia, dunque, che Grano inserisce nel tentativo, anche un po’ maldestro del Partito comunista, di correggere una linea politica non sempre efficace: «Dopo gli ultimi tre anni disastrosi a livello economico, dalla fine di novembre scorso la Cina sta cercando di riposizionarsi, tanto sul piano nazionale quanto su quello internazionale». Il documento cinese va dunque letto in quest’ottica: «La Cina ha avvertito in maniera chiara che l’unità transatlantica tra Europa e Stati Uniti, rafforzatasi dopo l’invasione russa, può giocarle contro».

L’atteggiamento cinese, però, rimane ambiguo, avverte Grano: «Da una parte Pechino cerca di proporsi con una nuova narrazione - sostenendo, per esempio, che il dialogo è l’unico modo per risolvere il conflitto - dall’altra pone condizioni che, in alcun modo, l’Europa è disposta ad accettare». Ossia, la fine delle sanzioni unilaterali contro la Russia.

Su una lettura alternativa, che invece vede la Cina tentare una prova di forza con l’Occidente - per esempio ponendo le proprie condizioni per la pace -, Grano è piuttosto scettica: «Sicuramente esiste anche questo aspetto. Effettivamente la Cina dal 2008 persegue l’obiettivo di pesare maggiormente sullo scacchiere internazionale». In quest’ottica si inseriscono, come corollario, le richieste sulla fine delle sanzioni. «La Cina vuole profilarsi come Paese che intende giocare un ruolo risolutivo nel conflitto, ma non dimentichiamo che Xi Jinping non si è mai impegnato realmente per la pace». Per questo motivo, secondo Grano, l’aspetto che maggiormente va colto in questa operazione «è il tentativo di recuperare un’immagine positiva, oramai compromessa, soprattutto in Europa, a partire dalla crisi sanitaria».

I droni per Mosca

Sui dubbi e sulla poca credibilità politica che si accompagna al piano di pace cinese, Grano cita, inoltre, l’intricata questione legata alla presunta vendita di droni a Mosca. «Al momento, non si sa se questa vendita sia già avvenuta o se stia per avvenire. Non a caso, il segretario di Stato americano Antony Blinken si è espresso su questa eventualità, richiamando gli alleati europei a non fidarsi delle belle parole della Cina». Ad ogni modo, una delle narrazioni possibili che la Cina potrebbe adottare, nel caso in cui l’ipotesi venisse confermata, «è che la vendita non sia stata ordinata dal Partito comunista, ma condotta da un’azienda per interessi economici privati».

In ogni caso, per la Cina la vendita di droni rischia comunque di diventare un affare estremamente delicato da gestire, anche in chiave domestica, osserva Grano: «In un momento di sofferenza per l’economia del Paese, ciò che la Cina vuole assolutamente evitare sono eventuali sanzioni occidentali».

Equilibrismo geopolitico

Non sorprendono, dunque, neppure i riferimenti, nel piano di pace, alla necessità di «mantenere stabili le catene industriali e di approvvigionamento». Secondo la docente dell’Univesità di Zurigo, la Cina si trova nella difficile situazione di dover controbilanciare interessi contrapposti: «Dal punto di vista economico, Pechino ha tratto benefici evidenti, soprattutto in tema di approvvigionamento energetico, dalla nuova alleanza con la Russia. Pare, però, evidente che Pechino stia utilizzando il conflitto russo-ucraino con finalità geopolitiche». Ed è qui che l’equilibrismo cinese si fa, se non fragile, sicuramente più difficile: «Per quanto riguarda gli equilibri geopolitici, la situazione è più complicata. Sotto il profilo commerciale, la Cina è infinitamente più legata agli Stati Uniti e all’Europa che alla Russia». Il commercio con Mosca, a confronto con quello europeo, impallidisce. «Per questo motivo, la Cina sta molto attenta a non fare passi falsi, proprio perché non vuole mettere in pericolo i propri rapporti economici». Rapporti di forza che poi devono trovare una forma di equilibrio anche sul fronte ideologico: «La Cina è apertamente dalla parte della Russia e lo è soprattutto in chiave anti-Stati Uniti. Sicuramente il posizionamento della Cina nel conflitto ha più a che vedere con gli USA che non con l’Ucraina e la Russia», spiega Grano.

In questo contesto si inserisce anche il capitolo sulla diplomazia cinese, capace di comunicare in maniera «sufficientemente vaga» per correggere il tiro in corso d’opera: «Senza muoversi di un passo dalla posizione iniziale, la Cina sta tentando di presentarsi al mondo sotto una nuova luce, come forza mediatrice». Questa correzione della propria immagine - secondo Grano - segue, peraltro, alcune convinzioni che il Dragone sembra aver maturato in questo anno di guerra: «Inizialmente si riteneva che la Cina potesse approfittare del momento di distrazione degli Stati Uniti per attaccare a sua volta Taiwan. Le difficoltà in cui è incappata la Russia, alla luce anche della risposta compatta dell’Europa, hanno portato la Cina a realizzare che una guerra contro Taiwan non fosse una buona idea. E per un semplice motivo: dovrebbe fare i conti con le stesse problematiche, se non addirittura maggiori, visto che, in questo contesto - alla luce degli impegni internazionali - gli alleati dovrebbero intervenire».

Un piano di pace in dodici punti in cui non compare mai la parola «guerra», né si dice con chiarezza chi sia l’aggressore e chi, invece, l’aggredito. Così come annunciato da giorni, la Cina ha fatto conoscere la sua «posizione» sulla «soluzione politica della crisi in Ucraina». Un documento breve, senza introduzione, pubblicato sul sito del ministero degli Esteri e rilanciato subito dall’agenzia di stampa statale Xinhua (Nuova Cina). Più che un percorso praticabile per arrivare alla fine delle ostilità o, quantomeno, a un rapido cessate il fuoco, un modo di stare dentro il problema. Marcare la presenza. Cosa subito notata e messa in evidenza da Josep Borrell, alto rappresentante per gli Affari esteri dell’Unione Europea, intervenuto all’ONU: quello cinese, ha detto Borrell, «non è un piano di pace, è un documento di intenzioni, in cui Pechino illustra tutte le sue posizioni che sono note dall’inizio. Perché si potesse definire piano di pace avrebbe dovuto dovrebbe essere un testo attuabile. E per avere credibilità avrebbe dovuto essere condiviso con le due parti». Nel dettaglio, il documento parte dalla richiesta di «rispetto della sovranità di tutti i Paesi» e di sostegno alla «indipendenza e integrità territoriale delle nazioni». Considerazione condivisibile ma curiosamente priva di accenni al fatto che sia stata la Russia ad attaccare l’Ucraina con l’obiettivo di spodestarne il presidente democraticamente eletto. Il secondo dei 12 punti chiede di «abbandonare la mentalità della guerra fredda», spiegando che «La sicurezza di una regione non dovrebbe essere raggiunta rafforzando o espandendo i blocchi militari». Un chiarissimo riferimento all’allargamento a Est della NATO che, secondo i cinesi, giustifica le «preoccupazioni di sicurezza» della Russia. Nel terzo punto Pechino chiede esplicitamente di «Cessare le ostilità. Il conflitto e la guerra non giovano a nessuno», si legge nel documento. Manca però un’indicazione sul ritiro delle truppe di Mosca, condizione giudicata indispensabile da Kiev per aprire ogni possibile trattativa. «Dialogo e negoziazione sono l’unica soluzione praticabile alla crisi ucraina», scrivono i cinesi nel quarto punto. Anche qui dimenticando che non di crisi si tratta, ma di guerra iniziata dalla Russia di Putin. I punti 5 e 6 («Risolvere la crisi umanitaria» e «Protezione dei civili e dei prigionieri di guerra» riprendono le indicazioni dei trattati internazionali e chiedono, sempre in modo generico e mai parlando dei bombardamenti ordinati da Mosca, di «evitare di attaccare civili o strutture civili». Molto più importanti i successivi due paragrafi: il settimo, «Mantenere sicure le centrali nucleari» e l’ottavo, «Riduzione dei rischi strategici», in cui Pechino prima ribadisce che «Le armi nucleari non devono essere utilizzati», poi conferma di opporsi «alla ricerca, allo sviluppo e all’uso di armi chimiche e biologiche in qualsiasi circostanza». Gli ultimi 4 punti del piano riguardano le questioni economiche. Se «Facilitare le esportazioni di grano» (9) viene indicata come priorità per evitare crisi alimentari globali, lo «Stop alle sanzioni unilaterali non autorizzate dal Consiglio di sicurezza dell’ONU» (10) sembra essere una mano tesa unicamente verso Mosca. Allo stesso modo può essere letta la motivazione del punto 11, «Mantenere stabili le catene industriali e di approvvigionamento», in cui Pechino insiste sul fatto che fermare le ostilità serve a non «compromettere la ripresa economica globale» (e, con essa, la ripresa della stessa Cina dopo la lunga crisi post-Covid). Infine, «Promuovere la ricostruzione postbellica» (12). Ma qui si tratta solo di affari. da.c