A volte si è come i polli e le galline in batteria

È tutta colpa della prossemica. Sia che mi trovi in ascensore, seduta in poltrona, al cinema, a teatro, mentre sto facendo la fila allo sportello, sono stipata nella cabina che porta al Corvatsch, sia in metropolitana o sul treno regionale, è sempre lei, la prossemica, che mi obbliga a stabilire, e a riconsiderare la mia capacità di adattamento, tra me e chi sta invadendo il mio spazio vitale, quel perimetro che non si dovrebbe oltrepassare, senza il mio consenso.
Anche semplicemente quando sto cercando di scostare lentamente il mio braccio dal vicino di poltrona al cinema, che inavvertitamente sfrega il suo braccio contro il mio, mentre cerca di «condividere» con me il bracciolo della poltrona, magari più subdolamente con il tentativo di marcare il territorio e far valere il suo dominio. Nel momento in cui lui sta affondando le mani tentacolari nella scatola, con disegnata la bandiera americana, per agguantare una porzione invereconda di popcorn, candidi ma rumorosi, dal profumo denso di olio rarefatto per l'utilizzo incondizionato, mi trovo prossemicamente richiamata a mantenere intatta la mia libertà e se, come scrive lo scrittore Julio Cortázar, la vera profondità di un uomo è l'uso che fa della propria libertà, molte volte non si intravvede nemmeno lo sbiadito tentativo di immedesimarsi nell'altro.
Anche un certo contegno, oltre alla capacità di tollerare la vicinanza dello sconosciuto dovrebbero distinguerci. Penso all'altro e al suo diritto d'esistere ma anche alla mia autodeterminazione, chiamando a raccolta le parole di Virginia Woolf quando scrive che «ognuno ha il proprio passato chiuso dentro di sé come le pagine di un libro imparato a memoria», ma allo stesso tempo rifiuto proprio quel suo mondo per far posto al mio, per una mera questione di sopravvivenza. Risalgo perciò, con fare più accogliente, alla metafora di Arthur Schopenhauer che nella sua opera di racconti Parerga e Paralipomena scrisse: «Una compagnia di porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini per proteggersi col calore reciproco dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono il dolore delle spine reciproche, il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di scaldarsi li portò di nuovo a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno, di modo che venivano sballottati avanti e indietro tra due mali: il freddo e il dolore. Tutto questo durò finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione. Avvicinarsi è possibile per dare e ricevere affetto e sicurezza, ma attenzione gli aculei possono ferire e ferirci».
Il dilemma filosofico di Schopenauer pone in luce la sofferenza sia essa vissuta nella lontananza sia nella vicinanza. Ma quando l'incontro ravvicinato e indesiderato con il prossimo si trasforma in maleducazione, menefreghismo e mancanza di ritegno, e oltre allo sgranocchiare e allo sbattere la bocca, pur non essendo affetta da una grave forma di misofonia, si sommano le pedate nello schienale di chi è seduto dietro di te, o il chiacchiericcio di chi traduce il film al suo amato vicino, vorresti essere non più il porcospino carino ma una coccodrilla dalle possenti fauci. Perché il tempo di reazione che intercorre tra te e chi cerca dantescamente di «soverchiar questa parete» o ti costringe a ritirarti «di fronte alle forze soverchianti del nemico» che chiamo il vicino improvvisato, il quale agisce senza il minimo rispetto, richiede il mistico autocontrollo di un monaco tibetano o la pellaccia del rettilone, dell'armatura impenetrabile.
È in queste situazioni esperienziali che riesco a comprendere perché Konrad Lorenz, quando scrisse «Il declino dell'uomo», sosteneva che «la minaccia più sottile e più fatale è rappresentata dal graduale declino di tutte le peculiarità che fanno dell'uomo un essere umano». Per me, e sarò riduttiva, parte del declino è da imputare ai Popcorn, che non permettono alla prossemica di respirare, imponendole un restringimento spaziale, come quello riservato negli allevamenti, alle galline e ai polli in batteria.