Benvengano gli aiuti alla nostra riserva indiana

Caro Carlo, nel continuo mutare di tutto, c’è un proverbio che conserva la sua attualità: «Carta canta». Soprattutto oggi c’è bisogno di parole ferme, chiare e scritte nero su bianco. Sostengo il pacchetto a favore dei media perché convinto che un pluralismo nella stampa scritta è ricchezza per il Paese, valore per il confronto civile delle idee, arricchimento informativo e culturale, memoria non manipolabile per il futuro. Il mio è anche un «sì» di coerenza con l’impegno profuso negli scorsi anni nel promuovere e difendere il «Giornale del Popolo».
Mons. Pier Giacomo Grampa, Loverciano
La risposta
Caro don Mino, grazie per il sostegno alla riserva indiana dei media a rischio d’estinzione. Sottoscrivo i suoi argomenti: la difesa del pluralismo dell’informazione, il confronto civile delle idee, l’arricchimento culturale e tutto il resto. Una vittoria del «sì» alle urne il prossimo 13 febbraio rappresenterebbe un aiuto provvidenziale assai concreto alle casse traballanti – e in alcuni casi disperate – di numerosi media confrontati ad una feroce pressione finanziaria. Ma sarebbe anche un balsamo simbolico, un segno di maturità democratica in tempi balordi come i nostri in cui si pretende che sia garantita un’assoluta libertà di stampa ma poi, di fatto, si rischia di concederla solo a chi ha enormi risorse finanziarie (magari accumulate grazie ad attività che non hanno nulla a che fare con l’informazione). Qualcuno penserà che le mie parole non siano credibili, perché scrivo da un giornale e quindi è difficile che i miei argomenti appaiano disinteressati.
Certo che sono un commentatore interessato! Del resto è anche del mio futuro (o meglio, del destino del mio mondo professionale in Svizzera) che si parla. Sono parte in causa e come tale, orgogliosamente difendo l’universo di carta (o elettronico), la serietà, l’impegno lavorativo in cui vivo e che condivido con parecchi altri colleghi. Sono convinto che sostenere questa battaglia significhi lottare per qualcosa che va al di là della sostenibilità e in certi casi della sopravvivenza di giornali come quello che mi ospita e di molti altri che sostentano anche le economie private dei miei colleghi. La battaglia per l’aiuto ai media, infatti, non giova solo agli editori e a noi professionisti dell’informazione, bensì all’intera società. Più l’offerta giornalistica è povera e limitata alle testate dei grandi gruppi, meno sono gli strumenti a disposizione del cittadino per capire la realtà che lo circonda. Il rischio, senza aiuti, non è che i media diventino succubi del Governo, come sostengono i referendisti contrari al pacchetto (consiglio di leggere per interno la pagina che il CdT ha dedicato al tema il 15 gennaio 2022). Il rischio è che l’informazione resti in mano a pochi potentati economici e, soprattutto, ai social media, che nemmeno pagano per le notizie che sottraggono ai giornali e poi gettano in un mare indistinto insieme a notizie dopate, incomplete, non verificate, fake news e deliri complottisti. Risparmiamoci questo autogol.