L’editoriale

A chi giova infangare i valori dei classici?

L’editoriale di Matteo Airaghi
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Matteo Airaghi
Matteo Airaghi
04.05.2021 06:00

Poche righe di agenzia. Così, con uno scarno e burocratico comunicato che alludeva vagamente a nuove priorità e a ineludibili esigenze amministrative, pochi giorni fa la prestigiosa Howard University, fondata a Washington D.C. nel 1867, ha annunciato la prossima chiusura del suo benemerito dipartimento di studi classici. La notizia sarebbe già di per sé triste e preoccupante, un ulteriore tassello nel processo di impoverimento della gloriosa tradizione accademica statunitense verso quel «disastro culturale americano» ben descritto da Roberto Saviano in un desolante reportage prima delle ultime elezioni presidenziali. Ma c’è anche di peggio, perché Howard non è un’università qualsiasi. Prende il nome da Oliver Otis Howard, un generoso filantropo ed eroico generale unionista della guerra di Secessione (bianco, ma di questi tempi non ditelo troppo forte in giro) e fin dalla sua fondazione è stata aperta a tutti senza distinzione di «sesso, religione e razza» tanto da diventare fin dagli anni Sessanta l’ateneo simbolo degli afroamericani e della sacrosanta lotta per i diritti civili. È qui, in quella che molti considerano la «Harvard nera», che si è formata infatti l’intellighenzia afroamericana e la classe dirigente di colore del Paese (Kamala Harris docet). Anche grazie, appunto, al fiorente dipartimento di studi classici. E allora perché mai sopprimere d’un tratto e senza troppi complimenti un simile tesoro di cultura, di confronto e di progresso umano e scientifico? Per assecondare in modo pavido e cieco l’ossessione del politicamente corretto, ovviamente. È ormai certo, purtroppo, che dietro la sbrigativa decisione di Howard si celi l’ossequio ai deliranti dettami di qualche guru della «cancel culture» secondo cui i classici del pensiero occidentale (da Omero a Dante, passando per Virgilio, tanto per intenderci) siano in realtà dei «suprematisti bianchi» nemmeno troppo mascherati. Degli inutili e pericolosi «uomini bianchi morti» propugnatori e fomentatori con i loro scritti e con le loro idee di ogni sorta di discriminazione, razzismo, schiavitù e patriarcato di cui liberarsi al più presto in nome dell’emancipazione degli oppressi e del progresso dei popoli. Ora sarebbe davvero interessante capire in che modo sostituire Aristotele e Lucrezio con il nulla dell’ignoranza (perché ovviamente la «cancel culture» impone di annientare, di cancellare appunto tutto ciò che sappia vagamente di civiltà occidentale ma non è mai in grado di proporre alternative plausibili) possa aiutare gli afroamericani e favorirne l’ascesa sociale. E qualsiasi persona di buonsenso comprende invece perché di fronte a simili derive ideologiche Cornel West, il battagliero filosofo e attivista nero da una vita in prima linea per i diritti delle persone di colore (non esattamente il capo dei nazisti dell’Illinois dei Blues Brothers), abbia parlato di una «catastrofe spirituale» per l’America e per la sua gente. Invece di bandirli i classici andrebbero piuttosto letti, studiati, magari discussi, e diffusi con impegno ancora maggiore. Da tutti gli esseri umani, senza distinzione. Perché universali sono i valori che ci hanno trasmesso. Valori essenziali anche nella lunga ed eroica lotta per i diritti civili dei neri. O forse ad Howard si sono dimenticati dell’amore di Martin Luther King per Socrate (citato più e più volte nell’immortale Lettera dal carcere di Birmingham) o di come Frederick Douglass rischiasse la frusta pur di leggere di nascosto Omero e Cicerone? Secondo il «New York Times» gli stessi studenti (all’80% afroamericani) dell’ateneo starebbero insorgendo contro la chiusura lanciando sui social l’eloquente hashtag #SaveHUClassics. Inoltre, una petizione online per salvare il dipartimento avrebbe già raccolto migliaia di firme. Speriamo che serva a qualcosa. A noi intanto è venuta voglia di rileggere qualche pagina dell’Odissea.