«Angeli negri» e la storia

Le ondate emotive e planetarie vanno e vengono, i problemi restano. Dove sarà ora per esempio Greta Thunberg? Eppure la salute fisica del pianeta e la sfida del clima restano urgenze vive. E così si è alzata e si abbasserà la possente ondata emotiva anti razzista dopo le odiose violenze, anche assassine, di poliziotti bianchi su neri inermi. Ma l’antica cicatrice nordamericana (ci fu la schiavitù orrenda, ci fu una guerra civile) non si saturerà per lungo tempo ancora, anche se passi da gigante sono stati compiuti (un presidente nero è arrivato alla Casa Bianca, e molto altro ancora). Il «peccato originale» di una odiosa discriminazione che risale a una tragedia gigantesca non cesserà di farsi sentire, anche se la questione razziale è diventata oggi soprattutto sociale, un fattore di emarginazione economica e culturale: le due cose sono profondamente mescolate. In quanto poi alle ondate emotive di protesta, ben vengano quando i fatti – le emozioni, appunto – le inducono. Naturalmente possiamo sorridere di fronte agli eccessi del politicamente corretto, per cui si rimuovono statue di condottieri che da presunti eroi decadono al rango di biechi schiavisti, magari aprendo una reazione a catena imbarazzante per molte società e paesi: e sorridiamo pure per la guardinga soppressione dei moretti di cioccolata dagli scaffali. Ma se tutto è segno di una nuova sensibilità, ben venga questa vigilanza di parole e gesti. A guardar bene, già molti decenni fa (almeno a memoria mia dagli anni ’50) l’espressività dei linguaggi, a dispetto della parola «negro» allora usata e non ancora sterilizzata (a fin di bene, d’accordo...), era solidale con la pretesa di dignità e uguaglianza da parte dei negri, che sarebbero diventati poi i neri e infine le persone di colore. Lessi da adolescente un romanzo bello e intenso, «Ragazzo negro» di Richard Wright, scrittore nero d’America: vi si narrava l’odissea dolorosa e speranzosa di un ragazzino fra segregazione e libertà, un libro che educò la mia generazione (oggi in edizione Einaudi). In quegli stessi anni Don Marino Barreto Junior e poi Fausto Leali cantavano «Angeli negri»: «Pittore, ti voglio parlare, mentre dipingi un altare, io sono un povero negro e d’una cosa ti prego: pur se la Vergine è bianca, fammi un angelo negro. Tutti i bimbi vanno in cielo, anche se son solo negri». La trovate su youtube. Sentimentale? Certo, ma efficace più della rimozione dei moretti. La questione era già lì, dunque, nella mescolanza fra la persuasione del male di ogni razzismo e una diffidenza ancora ben siringata dentro le vene dei pregiudizi della società bianca. Del resto la questione «razziale» va ben oltre l’America e si annida ovunque, nel mondo, spesso nella contradditoria presenza di un razzismo perdurante e di una sensibilità che sa che esso è disumano. E poi i «razzismi» riguardano razze ma anche etnie, culture, religioni, nazioni, popoli. È vero che sulla carta dei diritti umani il razzismo è bandito. È vero che la civiltà cristiana ha il merito di avere pronunciato le parole indiscutibili sull’uguaglianza (mentre i grandi filosofi greci e romani possedevano schiavi e lo ritenevano normale): «Non c’è più giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna, perché tutti siete uno in Cristo Gesù” (San Paolo, primo secolo). Ma fra la proclamazione e l’applicazione quanta fatica, quanti tradimenti e persecuzioni! L’uguaglianza fra tutti gli esseri umani viene smentita ogni giorno e ogni giorno deve reinventarsi. Tornando all’America e ai neri, dicevo all’inizio che la drammaticità perdurante risale a una delle più gravi e vergognose tragedie della storia: la deportazione in massa, da parte di navi comandate da bianchi e potenti padroni, di inermi africani, a decine di migliaia, trascinati come schiavi nella civilissima America della «carta dei diritti», la stessa America che per farsi spazio nel «nuovo mondo» aveva intrapreso la distruzione sistematica della popolazione nativa dei «pellerossa». E quegli americani erano cristiani! Per fortuna nell’America del sud le cose andarono un po’ diversamente: la colonizzazione ispanica e non anglosassone favorì un maggiore incrocio di meticciato e lo schiavismo nordamericano non ci fu; si videro anche le cittadelle di umanità e dignità libera delle Reductiones dei Gesuiti (ricordate il film «Mission»?) a dimostrazione che nessun germe buono muore mai del tutto. Bisognerebbe, invece che distruggere statue e moretti, studiare di più, e meglio, e sempre, la storia.