Aritmetica e logica politica

di GERARDO MORINA - Ieri in mattinata, mentre un timido sole si insinuava lungo Downing Street e il vento dal vicino Tamigi le scompigliava la pettinatura, la premier britannica Theresa May ha convocato la stampa davanti alla sua abitazione per annunciare a sorpresa l'intenzione di convocare elezioni anticipate per l'8 giugno. L'ha fatto a meno di due anni dalle ultime elezioni generali, a dieci mesi dal referendum con cui il Regno Unito si espresse a favore dell'uscita dall'Unione europea e a nove mesi da quando la stessa May rimpiazzò David Cameron alla guida del partito conservatore e del Governo. L'ha anche fatto in anticipo rispetto alla scandenza naturale del mandato di governo, prevista per il 2020. Si tratta di una decisione tempestiva che risponde sia ad un'aritmetica elettorale sia ad una personale logica politica. Attendere il 2020 avrebbe infatti significato darsi in balia di una lunga e incerta campagna elettorale, tale anche da ampliare le divisioni esistenti e indebolire il processo della Brexit, proprio mentre si avvia ad entrare nella fase più dura e complicata dei negoziati con Bruxelles. Meglio, dunque, non frapporre indugi e cogliere, fin quando dura, il vento in poppa del momento. E coglierlo significa per Theresa May liberarsi da una serie di intoppi. Primo fra tutti l'opposizione degli altri partiti, laburisti, liberal-democratici e nazionalisti scozzesi, oltre che dei membri non eletti della Camera dei Lord che hanno promesso di porre limiti e ostacoli al tipo di Brexit che il governo vuole ottenere nella trattativa con l'UE. Insomma la conquista attraverso le urne di un mandato più forte di quello attuale, nato a suo tempo non dall'esito elettorale ma dal semplice avvicendamento della May alla testa del partito conservatore. Ma soprattutto una decisione presa con l'intento di fare tesoro dell'andamento dei sondaggi di aprile che parlano di un 42,6% dei Tories contro il 25,4% del principale partito di opposizione, quello laburista, che risente degli effetti negativi di un leader poco carismatico e su posizioni estremistiche come Jeremy Corbyn. L'ambizione di Theresa May è di conquistare la stessa maggioranza a valanga che nel 1983, dopo l'intervento bellico nelle Falkland-Malvine e un riaggiustamento positivo dell'economia, consegnò il secondo mandato consecutivo a Margaret Thatcher. Tutto ciò non elimina però alla radice le insidie che la May potrebbe trovarsi sul cammino. La prima è data dalla situazione di instabilità in Scozia come nell'Irlanda del Nord. A Edimburgo la «First Minister» scozzese Nicola Sturgeon ha reagito alla notizia delle elezioni generali anticipate accusando la collega britannica di voler imporre una Brexit dura. In una dichiarazione su Twitter, la leader del Partito nazionalista scozzese ha chiesto agli elettori della sua regione di difendere la Scozia alle urne. Si ricorderà che nelle ultime settimane la Sturgeon ha iniziato il processo legale per convocare un secondo referendum sull'indipendenza della Scozia. Ugualmente critica è la situazione a Belfast, dove il governo di condivisione della regione è ancora sospeso, senza la prospettiva che venga convocata un'elezione per il rinnovo del Parlamento decentrato. Ma forse la maggiore complicazione in cui Theresa May potrebbe imbattersi è da ricercare in Parlamento e all'interno del Paese. Ieri la premier si è detta convinta del fatto che «la Nazione si sta unendo, non così Westminster». E se questo assioma risultasse alla prova dei fatti capovolto? Le divisioni che ancora sussistono in merito alla Brexit sono destinate ad avere conseguenze imprevedibili per come gli elettori orienteranno il proprio voto. Il partito populista «UK Independence Party» esultò dopo aver coronato la scorsa estate l'obiettivo dell'uscita del Regno Unito dall'UE, ma in recenti elezioni suppletive ha subito un calo strepitoso. A sinistra, invece, i liberaldemocratici si sono configurati agli occhi del Paese come i maggiori oppositori della Brexit, una strategia che dal referendum in poi ha fatto loro conquistare seggi in elezioni parlamentari e municipali, al punto che alcuni conservatori di vecchia data non escludono con preocupazione che proprio i liberaldemocratici possano privare i Tories di una netta vittoria in molte zone di Londra e del sud-ovest del Paese. È risaputo infine che le elezioni rappresentano sempre un rischio, anche perché nel Regno Unito i sondaggi in altre sfide elettorali si sono spesso rivelati erronei. Theresa May ne è probabilmente consapevole, ma rimane convinta che il gioco valga la candela.