Bilaterali, Ticino e frontalieri

Fabio Pontiggia
Fabio Pontiggia
02.09.2010 06:00

di FABIO PONTIGGIA - Il Consiglio federale ha confermato e rafforzato la scelta strategica della via bilaterale nei rapporti con l?Unione europea. Esclusa molto opportunamente l?adesione – che sarebbe un salto nel buio, ma con costi elevatissimi, in termini sia finanziari, sia di sovranità – il nostro futuro sarà ancora fatto di intese con gli Stati membri dell?UE.Il Ticino non è in sintonia con il resto del Paese e non gradisce, nella sua maggioranza, questa strada aperta ufficialmente il 1. giugno 2002. Lo ha confermato in più votazioni popolari. Va da sé che gradirebbe ancor meno l?adesione all?Unione; e su questo fronte è in sintonia con la maggioranza dei confederati.Tra le ragioni dell?opposizione ticinese ai Bilaterali vi sono in particolare i rischi per il mercato del lavoro. La maggiore apertura alla manodopera residente in Italia è considerata una minaccia per i lavoratori che abitano in Ticino. In due sensi: a) i frontalieri (sono attualmente 45 mila) tolgono posti di lavoro ai ticinesi e fanno quindi aumentare la disoccupazione; b) il massiccio impiego di frontalieri genera una pressione al ribasso sui salari.Non poche persone potrebbero portare esempi di aziende che, in questi ultimi anni, hanno assunto frontalieri anziché residenti. Le esperienze singole non possono tuttavia essere automaticamente scambiate per lo specchio fedele dell?intera realtà cantonale.Va innanzitutto detto che l?economia del nostro cantone già impiegava 40 mila frontalieri quando i Bilaterali non erano ancora stati inventati e quando nemmeno esisteva il mercato unico europeo.  Nel 1990, all?apice della lunga fase di crescita economica degli anni Ottanta, vi erano infatti in Ticino 40 mila frontalieri. Quantitativamente, la situazione odierna, nell?era dei Bilaterali, non è quindi una novità. La crisi economica strutturale della prima parte degli anni Novanta aveva poi falcidiato il numero dei frontalieri (da 40 mila nel 1990 a 28 mila), ma aveva anche fatto aumentare enormemente la disoccupazione (da poco più di duemila persone senza lavoro nel 1990 a quasi 11 mila  nel 1997). Il Ticino aveva perso in quegli anni, economicamente drammatici, la bellezza di quasi ventimila impieghi su un totale di 171 mila. Un vero salasso.Poi vi è stato il rilancio, a partire dal 1998. E l?evoluzione positiva, nonostante la breve recessione del 2002-2003, è proseguita fino a un anno fa, anche nel pieno dell?applicazione degli accordi bilaterali. Dal 1998 al 2008 (sono gli anni che permettono il confronto preciso sui dati dei censimenti federali delle aziende), i posti di lavoro sono aumentati in Ticino da 151 mila a 178 mila, con un balzo di ben 27 mila impieghi (+18%). È vero che molti sono stati occupati da lavoratori frontalieri, ma è pure vero che molti altri (circa diecimila) hanno dato opportunità d?impiego ai residenti. Tant?è che il numero dei disoccupati si è dimezzato. La realtà è dunque molto più articolata di quanto l?impressione data da singoli casi possa far credere e di quel che le tesi degli oppositori dogmatici dei Bilaterali fanno intendere. È comunque vero che con la maggiore apertura del mercato del lavoro, la disoccupazione negli anni della ripresa economica (2004-2008) è diminuita meno di quanto ci si potesse attendere.Domanda: sarebbe diminuita di più senza i Bilaterali, cioè in un mercato del lavoro meno aperto e più protetto da permessi e contingenti? Non potremo mai averne la prova provata, ma quando si tentano valutazioni sulla variegata realtà dei Bilaterali in una regione di frontiera come la nostra, bisogna considerare tutti gli aspetti. L?economia ticinese, come quella svizzera, è fortemente orientata alle esportazioni: l?industria non avrebbe né presente né futuro senza accesso ai mercati esteri, primo fra tutti quello europeo. Senza i Bilaterali, le industrie insediate in Ticino avrebbero avuto certamente maggiori difficoltà a fare affari nei Paesi dell?UE; è inoltre verosimile che non tutte le aziende insediatesi in Ticino in questi anni avrebbero fatto questa scelta se il mercato del lavoro cantonale non fosse stato aperto com?è ora proprio grazie alla libera circolazione delle persone. C?è, in altri termini, una fetta di crescita economica, e quindi di posti di lavoro, resa possibile solo dai Bilaterali. Difficile quantificarla, ma è certo che vi sia. E anche se queste imprese danno lavoro soprattutto a personale frontaliero, non può essere trascurato l?indotto che un?industria genera comunque nel tessuto economico locale.Quanto alla pressione al ribasso sui salari, che era stata paventata prima della votazione sugli accordi, la realtà dice che non vi è stata. La miglior dimostrazione la danno i dati sulle imposte alla fonte: il gettito di questo tributo è aumentato enormemente negli ultimi anni, sebbene siano state ridotte le aliquote. E le imposte non sono stime statistiche: sono soldi prelevati sulle buste-paga e riversati allo Stato. Lo stipendio medio pro capite versato in Ticino ai frontalieri è aumentato. Non vi è quindi stato quel trascinamento verso il basso dei redditi dei residenti che molti temevano.