Pensieri di libertà

Buoni o cattivi?

La rubrica di Francesca Rigotti
© CdT/Chiara Zocchetti
Francesca Rigotti
Francesca Rigotti
04.02.2021 06:00

Quando andavo alle scuole elementari, se la maestra doveva assentarsi dall’aula chiamava alla lavagna il «capoclasse» (temo non democraticamente eletto bensì autoritariamente nominato) incaricandolo di scrivere col gesso sulla lavagna, divisa in due da una riga verticale, i nomi dei bambini disciplinati, i «buoni», e di quelli che disturbavano, i «cattivi». Ci avrebbe pensato poi lei ad assegnare rimproveri e encomi. Conservo ancora un disegno che testimonia di una pratica oggi immagino severamente proscritta dalle direttive didattico-pedagogiche, ma allora ampiamente in uso. E che testimoniava comunque di un modo di pensare ancora oggi diffuso, benché la pratica si sia estinta, ovvero il pensare che si sia buoni o cattivi. E al di là di questo, l’arrivare ad affermare che in realtà, alla fine, siamo tutti buoni.

Detto in termini filosofici, siamo di fronte all’annoso problema della condizione umana: buona o cattiva? Ce lo si è chiesto per secoli, offrendo risposte discordanti: oggi la mentalità tardo moderna tende a dare una risposta univoca, che ci piace sentirci dire, soprattutto di questi tempi: gli esseri umani sono fondamentalmente buoni, altruisti e generosi, miti, addomesticati e addomesticabili. Tendiamo ad assumere la posizione dei buonisti, di Rousseau dunque (in contrasto con il cattivista Hobbes), ma soprattutto di un suo precursore, Pelagio. Pelagio, chi era costui? Un grande eretico, lo definisce la Chiesa. Di fatto un pensatore contemporaneo di Agostino e che ne fu avversario. Principio cardine della dottrina di Pelagio è la bontà di fondo della natura umana, il bonum naturae, che dà luogo a una sua visione antropologica ottimista che immagina che l’uomo possa redimersi da solo senza necessità di un salvatore; il che scatenò le ire persecutorie del teologo e filosofo e padre della chiesa Agostino, per parte sua pessimista e sostenitore del malum naturae. Constatiamo una riemersione del pelagianesimo nella mentalità contemporanea dominata dal secolarismo, che comporta aspirazione alla pienezza e alla felicità di vita e rifiuta le pratiche dell’ascetismo pagano o della mortificazione cristiana; che desidera riscattare il corpo, riabilitare il desiderio, allontanare l’idea di colpa. La mentalità mobile, tecnicistica ed edonistica della cultura metropolitana si richiama a un senso di innocenza innata, all’affermazione della bontà di fondo delle nostre aspirazioni e all’allontanamento del male da noi e dalle nostre persone. Si tratta di un ribaltamento importante della costante e tradizionale interpretazione del fenomeno morale secondo la quale la condizione umana è sostanzialmente debole e incline alla mancanza e al peccato e deve essere pertanto «redenta». Possiamo dunque cancellare tranquillamente la colonna dei cattivi sulla lavagna?