Il ponte-diga

Cartoline da Lugano

Sulla cartolina del 2023 si sarebbe potuto mettere un simbolo che non richiamasse il denaro o le cose criptate
©Chiara Zocchetti
Pietro Montorfani
Pietro Montorfani
21.11.2023 09:00

Tra i personaggi più disperati di Pier Vittorio Tondelli, autore di pagine libertine che ingaggiarono un feroce corpo a corpo con la censura nei primi anni Ottanta, difficilmente si dimentica quello di Molly che «siede in un angolo della distesa di tavoli accanto alla sua valigia di cartone specorito legata con una corda e con su appiccicata la cartolina adesiva di Lugano, ma dentro non ci tiene un cazzo, paura che freghino quando è fatta e appisolata. Così il suo guardaroba se lo porta addosso, una maglia sull’altra, una braca nell’altra e quando sta seduta pare una botola di lardo ingolfata nel pastrano di raso nero [...]; quando è tornata al Posto Ristoro, qui in città, anche il più scalcagnato del giro l’aveva capita che era scappata a Lugano, perché ci teneva l’adesivo appiccicato su quella cartolaccia ed era nuovo e lucente e lei proprio scema».

L’immagine di una cartolina lucente su una valigia vuota è una metafora forte, da tenere presente come monito ogni qual volta si metta a tema l’identità di Lugano, i suoi meriti (e sono parecchi) e tutto ciò che il nome porta con sé, specie per chi guardi da fuori. Abbiamo iniziato male, se è vero che la prima citazione della nostra regione, a firma dello storico del VI secolo Gregorio di Tour, non andava oltre uno «stagno chiamato Ceresio». Ma ci siamo ripresi presto, e durante il Medioevo e ancora in epoca moderna Lugano era sinonimo di una delle principali fiere di bestiame del Continente, àmbito nel quale il mondo del Nord e quello del Sud si incontravano per fare affari. Nei mesi autunnali, un borgo che non superava i tremila abitanti si riempiva di centinaia di venditori e di decine di migliaia di capi, con i vantaggi ma anche con le difficoltà che si possono immaginare: a fiera finita, l’intera piana del Cassarate era messa un po’ come il Parco Ciani in questi giorni. L’eclissi durata tre secoli sotto il governo dei balivi ha avuto pure piccoli momenti di gloria: a iniziare dalla tipografia Agnelli, che nella seconda metà del Settecento portava in giro il nome di Lugano, soprattutto presso gli ambienti più progressisti e liberali. Poi venne il turismo internazionale, favorito dai grandi alberghi e dall’apertura della Gotthard-Bahn, un evento per il quale non finiremo mai di ringaziare. Si dimentica spesso infatti quale enorme rischio per lo sviluppo del Luganese sarebbe stato il tracciato ferroviario, accarezzato a lungo, che dal Piemonte avrebbe portato al Lago Maggiore e di lì al Lucomagno.

Una tragedia senza paragoni per i destini della città, che sarebbe rimasta forse ai livelli dello stagno di Gregorio di Tour.

Il seguito è storia nota, le banche, la Lugano da bere, i contanti che attraversavano allegramente il confine nascosti in qualche doppiofondo, fino agli scudi fiscali del governo Tremonti e alla caduta del segreto bancario. E oggi? Oggi Lugano è l’USI e il LAC, simboli di un encomiabile tentativo di rilancio su base scientifica e culturale storicamente attestato agli anni Novanta e primi Duemila. Se il futuro sarà legato a bitcoin e Piani B, è ancora tutto da vedere; certo i rischi d’immagine non mancano. Chi ha visto la puntata di «Falò» andata in onda il 26 ottobre sa di cosa parlo: i servizi di Marco Tagliabue hanno messo in evidenza la fragilità del sistema Tether, principale partner della Città in questa avventura, e le domande di Alessandra Maffioli hanno chiuso in un angolo il patron dell’azienda, che ne è uscito senza eleganza (la battuta sulle competenze economiche del forno a micro- onde). Per onestà bisogna però anche ammettere che l’impostazione della puntata era un po’ pregiudiziale, quasi fosse una colpa, per un sindaco, mostrarsi sopra un palco in felpa e cappellino. Inoltre Lugano Living Lab, cioè la migliore intuizione dell’amministrazione attuale, vale molto più dei bitcoin e non finisce di stupire con le sue proposte orientate al futuro.

Forse, dico io, sulla cartolina del 2023 si sarebbe potuto mettere un simbolo che non richiamasse il denaro o le cose criptate. Ma siamo ancora in tempo per scrivere la nostra storia di domani.