Che cos'è la «vera» Tradizione?

di CARLO SILINI - Anche in Ticino può capitare di assistere a micro-episodi di vita religiosa degni di figurare fra i racconti di don Camillo. Qualche anno fa, ad esempio, più o meno a metà percorso della processione del Corpus Domini tra le vie di un?importante parrocchia della nostra diocesi, il sagrestano (un uomo onesto e all?antica) porse al capo dei chierichetti uno strano bastone nero, sovrastato da un pomello intarsiato a motivi religiosi, ingiungendogli di passarlo al parroco. Il prevosto, alla vista del bastone, si imbufalì e, strappatolo dalle mani dell?incolpevole chierichetto, lo scaraventò tra la folla.I fedeli che assistettero alla scena, attoniti, non potevano immaginare che quello non era un semplice scatto d?ira, ma qualcosa di più profondo. Era il rifiuto di quel prete di imbracciare un emblema del clericalismo. Il bastone, in effetti era, in termini tecnici, una ferula, una sorta di scettro sacerdotale che fino a qualche decennio fa gli ecclesiastici di alto rango esibivano come simbolo del loro potere nelle grandi occasioni. Gettando la ferula nella folla, il prevosto aveva di fatto contestato l?idea di prete come uomo di potere.Domanda: agendo in quel modo, il parroco stava disprezzando la Tradizione cristiana? No. Vediamo di capire il perché.Lo facciamo prendendo spunto dalle dichiarazioni che il teologo ticinese don Sandro Vitalini ha rilasciato al nostro giornale in occasione della Pasqua (vedi l?intervista a pagina 3). Non bisogna confondere, lascia intendere Vitalini, tradizioni (al plurale e con la «t» minuscola) con Tradizione (al singolare e con la «T» maiuscola).Le tradizioni religiose, per quanto spiritualmente fondate, emotivamente suggestive ed esteticamente piacevoli (negli ultimi giorni della Settimana Santa assistiamo a piccoli capolavori di devozione popolare, come le Processioni storiche di Mendrisio o quelle di Coldrerio) non sempre esprimono un genuino spirito evangelico. Non parliamo, in questo caso, di decisioni e gesti palesemente antievangelici per i quali la Chiesa cattolica ha coraggiosamente espresso i suoi Mea Culpa. Ci riferiamo a tradizioni più semplici, legate a inveterate prassi liturgiche, o anche solo al vestiario ecclesiastico. Di solito si tratta di usanze che sorgono in un certo periodo della storia della Chiesa perché in quel preciso momento sono avvertite utili o necessarie. Ma non è detto che cento o mille anni dopo siano ancora percepite come tali.Per esempio: l?uso della tiara, o triregno (l?antico e sontuoso copricapo papale che consiste in tre corone sovrapposte sormontate da una croce), era evidentemente ritenuto necessario dai vescovi di Roma del passato per sottolineare la loro dignità più che regale: il Papa era la controparte «spirituale» dell?Imperatore.Ma alla fine del Concilio Vaticano II, Paolo VI, che fu l?ultimo Papa ad indossare quel copricapo, scese dal trono papale nella Basilica di San Pietro e depose inaspettatamente il triregno sull?altare quale gesto simbolico di umiltà e di rinuncia a qualsiasi potere di natura politico-umana. Poi lo mise in vendita per darne il ricavato ai poveri.I tradizionalisti inorridirono. E inorridirono anche quando Giovanni Paolo II rinunciò all?uso della sedia gestatoria (il trono mobile, portato a spalle in alcune circostanze) già per la cerimonia del suo insediamento nel 1978. Con quelle scelte di rottura rispetto a secolari tradizioni religiose, Paolo VI e Giovanni Paolo II sapevano molto bene che non stavano creando nessuna frattura con la Tradizione, con la «T» maiuscola. Perché il loro, più che un modo per affrancarsi dai simboli di un potere pontificio che di fatto non esisteva più, fu un tentativo di corrispondere meglio all?ideale evangelico del primato del Papa, basato sul servizio («servus servorum Dei», diceva Gregorio Magno), non sul dominio dei corpi o delle anime dei fedeli.Nel Cristianesimo, gli autentici fautori della Tradizione non sono quindi quei credenti che si aggrappano alle forme religiose più antiche, bensì coloro che cercano di fondarsi sui testi (ancora più antichi) e soprattutto sullo spirito (eterno) dei Vangeli. Questo ritorno ai valori fondamentali evangelici può certo essere realizzato per vie e in modi diversi. In talare, in clergyman, o in maniche di camicia. Suonando l?organo in chiesa, oppure la chitarra. Pregando in latino, oppure in dialetto.Non ha senso cancellare la stratificazione di usanze e di pensieri che la Chiesa ha accumulato per ventun secoli. Ma è altrettanto assurdo allontanarsi dalle pratiche religiose che cercano di incontrarsi con la modernità.Per la Chiesa è indispensabile aggiornare il messaggio cristiano al linguaggio, alla cultura e alla sensibilità del mondo contemporaneo. E, nello stesso tempo, non è affatto necessario rinunciare a idee teologiche, riti e forme di devozione secolari unicamente perché provengono dal passato preconciliare. Ma in alcuni casi – quando si allontanano dal Vangelo – è imperativo abbandonarli. Non perché sono «vecchi» o perché non sono «moderni», ma perché non sono «eterni».