Commento

Come pagheremo gli enormi debiti?

Le grandi Nazioni sono indebitate e per le aziende l'illusione del facile continuo guadagno è arrivata al capolinea
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Tito Tettamanti
Tito Tettamanti
25.11.2022 06:00

A 31.000.000.000.000 (trentunmila miliardi, ma gli zeri della cifra impressionano maggiormente) di dollari ammonta il debito degli USA, che debbono sborsare 800 milioni di dollari al giorno per il servizio interessi. La cifra è imponente ma va rapportata per aver significato alle dimensioni dell’economia americana. Infatti, se vi è da essere preoccupati è constatando che l’indice di indebitamento – rapporto tra debiti e PIL – è salito non lontano dal 130% con una progressione annua molto maggiore a quella del prodotto interno lordo. Con ciò gli USA si collocano nel plotone delle nazioni europee indebitate: Grecia al 190%, Italia al 152%, Francia, che da 47 anni non chiude un bilancio in pareggio, al 115%, Spagna al 118%. Con Biden che ha fatto varare un «American Rescue Plan», non privo di accenti protezionistici, di ben 1.800 miliardi di dollari, la preoccupazione aumenta. La Germania che per decenni ha approfittato dei vantaggi che ha avuto dall’introduzione dell’euro e dall’utilizzazione di gas russo a prezzi favorevoli, si è vista costretta a varare un credito per 100 miliardi di euro per sistemare l’esercito e uno di 200 miliardi di euro per proteggere le proprie industrie e non è più nell’invidiabile posizione di prima.

Mi si risponde: non dimentichiamo l’aumento della ricchezza che si riflette nell’enorme crescita dei valori di borsa e di quelli immobiliari. La verità è un’altra, perché si scorda che l’infausta politica delle banche centrali, che hanno immesso alcune decine di migliaia di miliardi nel mercato per salvare Stati sovraindebitati, accompagnata dall’altrettanto infausta politica dei tassi zero, ha provveduto a gonfiare un pallone, che ha nutrito pericolose illusioni con conseguenti valutazioni prive di fondamento. Siamo arrivati a corsi di borsa pari a 38 volte il reddito annuale e a 12 volte il valore a libro della società. Ora il pallone si sta afflosciando.

L’Uber ad esempio fa concorrenza al servizio dei taxisti locali grazie ad applicazioni tecnologiche (e al fatto che cerca di evitare i contributi sociali), però per anni ha chiuso in perdita, vale a dire gli azionisti hanno sussidiato chi ha usato le sue auto, ancora nell’ultimo trimestre ha perso più di 1 miliardo di dollari, il corso delle azioni dall’inizio dell’anno è sceso di quasi il 35%. Lo stesso vale per Deliveroo, società che provvede alla consegna a domicilio di pasti. Non basta avere un’idea nuova con un pizzico di tecnologia applicata per sfondare e aver successo.

Nell’ultima settimana di ottobre la quotazione dei titoli tecnologici e specialmente dei vari Meta (Facebook), Alphabet, Google, Amazon, Apple è crollata con una impressionante perdita di 522 miliardi di dollari, perdita che nei dieci mesi dell’anno è arrivata a 3,7 mila miliardi. Il corso dell’azione Meta (Zuckerberg) è sceso negli ultimi quattordici mesi del 73%, di Amazon e Netflix del 48% e 58%. Riporto queste cifre per dare un’idea dell’ampiezza della crisi.

Cosa vuol dire? Che l’illusione del facile continuo guadagno è arrivata al capolinea, anche per le migliori aziende il mercato non è infinito e i tassi di sviluppo più si acquisiscono quote di mercato, più tendono a rallentare. I soldi cominciano a costare e i vantaggi speculativi dei tassi zero scompaiono. L’aumento degli interessi ipotecari avrà pure un impatto, anche se differenziato, sull’immobiliare.

L’ubriacatura causataci dagli oppiacei distribuiti dalle banche centrali per proteggere la disastrata finanza di molti Stati è terminata, probabilmente ci renderemo conto di non essere così ricchi come ci si illudeva e si tornerà a valutare le società sui «fondamental», sulle possibilità (anche tecnologiche) future ma senza lasciarsi prendere dall’euforia, spesso colorata da avidità ignorante.

Ma resta la questione: come si pagheranno i debiti? Nessuna preoccupazione, non si pagheranno. Nel Medioevo un Re francese non essendo in grado di restituire i prestiti, li dichiarò perpetui.

I Fugger erano nel XV. secolo una ricchissima e potentissima dinastia di banchieri europei. Sono falliti perché gli Absburgo, loro sovrani e debitori, non hanno onorato gli impegni.

A non pagare i debiti contribuirà l’inflazione, basta qualche punto oltre ai tassi per estinguere un debito in poco più di un decennio. A questo si aggiunge che le banche centrali aumenteranno regolarmente il portafoglio di obbligazioni del proprio Stato. Vedi Giappone la cui banca centrale ha aumentato recentemente di 3,6 mila miliardi di dollari l’inventario di obbligazioni di Stato e detiene più del 50% del debito pubblico.

Ormai siamo alla MMT – Modern Monetary Theory – che invita a non preoccuparsi perché tanto le banche centrali possono emettere carta moneta (dal sempre più dubbio valore) à gogo.

C’è sempre la possibilità di ricorrere a qualche tassazione patrimoniale, motivata dall’eccezionalità e che non suscita troppe reazioni, tanto i ricchi sono antipatici ma talvolta utili. Per finire si conviverà con il debito nell’ambito di una realtà impoverita, con poco senso di responsabilità ed un’economia sempre più statalizzata.