Comunali, congiunzioni e regole del gioco

La possibilità di congiunzione delle liste elettorali è stata cancellata 18 anni fa: parallelamente furono apportati alcuni correttivi per evitare che con quel colpo di spugna il sistema uscisse snaturato e sbilanciato penalizzando i cosiddetti partitini nella corsa ai seggi elettorali. Venne inoltre adottato anche a livello comunale il calcolo della miglior media applicata per l’attribuzione dei seggi: con quel metodo, Hagenbach-Bischoff, è stato introdotto un sostanziale meccanismo di sostegno e riconoscimento delle compagini politiche minori. Una riforma, quella, che entrò in vigore con il rinnovo di Municipi e Consigli comunali nel 2004 mentre per l’elezione del Governo era già realtà dagli anni Ottanta. Ma gli sconfitti del 2002 non mollarono mai la presa, tentando di riesumare le congiunzioni prima nel 2013, poi un paio di anni fa sfiorando il colpaccio. E proprio tra una settimana in Gran Consiglio si tornerà a parlare di congiunzioni delle liste, sulla base di un’iniziativa lanciata da parlamentari di UDC, Lega, PS e Verdi, partiti fortemente interessati a congiunzioni sul fronte destro e quello sinistro dell’emiciclo politico. Una proposta nata nel pieno della campagna elettorale per le federali dello scorso anno, con UDC-Lega e PS-Verdi a formare due coppie con le rispettive liste apparentate
dato che la corsa al Consiglio nazionale è retta dal diritto federale che contempla la facoltà di congiunzione delle liste. I quattro partiti avevano fatto fronte comune in un momento particolare, con l’intento di cavalcare la storica e sorprendente decisione di PLR e PPD di sottoscrivere un patto tecnico ma dal grande senso politico. I due partiti non lo avevano mai fatto prima di allora ed erano sempre stati i principali sostenitori dell’abolizione a livello cantonale. Per il quartetto di partiti ai poli non sembrava esserci momento più propizio per mettere in atto l’affondo contando anche sull’avallo del centro. Oggi quel calcolo si dimostra però essere stato fin troppo facile, anzi frettoloso. La base dei due partiti di centro non ha mai mostrato grande entusiasmo per quello che appariva come un matrimonio contro natura anche alla luce della datata e tribolata storia alle spalle. Poi i risultati alle urne hanno spento anche le più ottimistiche intenzioni, con accuse neppure troppo velate di essere alla base della magra figura altrui. In realtà l’unione non ha causato danni alla camera del popolo, dove PLR e PPD hanno mantenuto rispettivamente tre e due seggi, ma si è dimostrata un ostacolo nella corsa al Consiglio degli Stati nella quale PLR e PPD sono stati contemporaneamente estromessi a vantaggio dell’UDC (supportata dalla Lega) e del PS (sostenuto dai Verdi). Un vero e proprio terremoto che ha scosso la politica lo scorso autunno. La corsa in tandem al centro non ha funzionato e le tensioni hanno lasciato il segno, raffreddando i rapporti tra il partito di Fiorenzo Dadò e quello di Bixio Caprara, che ora si appresta a farsi da parte con tre pretendenti alla conduzione dei liberali radicali pronti a sgomitare in vista del congresso del 22 novembre (Natalia Ferrara, Emilio Martinenghi e Alessandro Speziali). Si aprono così nuovi potenziali scenari, ma è impossibile dire qual è quello che più verosimilmente si concretizzerà e, soprattutto, se PLR e PPD tenderanno ad avvicinarsi o ad allontanarsi.
Quello che è certo è che tra pochi giorni il Gran Consiglio sarà chiamato a determinarsi con i favorevoli ad un ritorno al passato che hanno buone chance di vittoria, ma un pugno di esponenti dei partiti che non fanno gruppo è destinato a fungere da ago della bilancia. Il dibattito si preannuncia acceso ma occorre che i giocatori in campo siano coscienti delle potenzialità, dei limiti e delle tempistiche. Non appare realistico e credibile riabilitare le congiunzioni mantenendo in vita anche il metodo Hagenbach-Bischoff a livello comunale, non si può avere il soldino e il panino. Il quartetto dei favorevoli ed eventuali altri sostenitori devono esserne coscienti. Inoltre, visto che le elezioni comunali del 2021 si stanno avvicinando, osiamo sperare che qualcuno non stia pensando al ripristino delle congiunzioni per il vicinissimo appuntamento elettorale. E questo per alcuni basilari ed elementari motivi: le elezioni del prossimo 18 aprile dovevano tenersi il 5 aprile di quest’anno, sono state invece improvvisamente e (forse inopinatamente) rinviate a causa della pandemia, nonostante esista e sia fortemente gettonato il voto per corrispondenza. Come ciliegina sulla torta diciamo poi che i termini per un eventuale referendum ci porterebbero a ridosso del Natale quando la campagna (che in realtà mai si è totalmente spenta) tornerà a farsi sentire. Se passerà il sì in Parlamento i tempi di maturazione ci porteranno almeno fino alle cantonali del 2023.