Editoriale

Con gli USA una tregua che dà tempo alle imprese

Le aziende esportatrici possono tornare a competere più o meno ad armi pari con le concorrenti dell’Unione Europea, e solo il tempo dirà se si sarà trattato di un passo positivo
©AARON SCHWARTZ / POOL
Generoso Chiaradonna
12.12.2025 06:00

Il presidente degli Stati Uniti ci ha abituati a cambiamenti anche repentini di umore e di linea politica. Questo per dire che, per Donald Trump, nulla è scolpito nella pietra. Non lo è stata la più che decennale alleanza e amicizia euroatlantica, figuriamoci se lo sarà l’intesa commerciale con i dazi al 15% in vigore dal 14 novembre, siglata con la Svizzera. Si tratta certamente di una tregua in vista di tempi migliori, che ridisegna i rapporti commerciali e offre una certa stabilità alle imprese esportatrici, nel frattempo costrette ad adattarsi a un’amministrazione statunitense che utilizza le tariffe doganali come strumento geopolitico per orientare a proprio vantaggio la competizione commerciale.

In attesa dell’approvazione di un accordo bilaterale che metta nero su bianco quanto concordato a metà novembre scorso dal consigliere federale Guy Parmelin per conto del Governo, l’intesa è da considerarsi in vigore. All’abbassamento dal 39 al 15% dei dazi su alcuni prodotti industriali svizzeri – l’industria MEM e l’orologeria sono i principali beneficiari – dovrà ora seguire l’implementazione della seconda parte dell’accordo, che prevede investimenti diretti negli Stati Uniti per un totale di 200 miliardi di dollari entro il 2028. Un terzo di questo ingente flusso di capitali dovrà essere effettuato entro la fine del prossimo anno. Una cifra che fa temere una riduzione degli investimenti in Svizzera, con conseguenti ripercussioni sull’occupazione nazionale.

A ciò si aggiunge, oltre all’azzeramento dei dazi su tutti i prodotti industriali importati (misura in vigore dal 2024 per tutti i Paesi), la riduzione delle tariffe commerciali sui prodotti della pesca, sui frutti di mare e su determinati prodotti agricoli considerati non sensibili per la politica agricola svizzera. Anche le bevande alcoliche di origine statunitense, come whisky, rum e birra, saranno esenti da dazi, così come caffè e tabacchi. Fin qui non emergono particolari timori, poiché l’economia svizzera non produce tali beni, o non in quantità significative.

Dal lato dei costi per la Svizzera, l’accordo prevede anche contingenti bilaterali in esenzione da dazi: mille tonnellate l’anno di carne bovina, 500 tonnellate di carne di bisonte e 1.500 tonnellate di carne di pollame. I timori principali riguardano i diversi standard di produzione tra Svizzera e Stati Uniti. È noto, ad esempio, che negli allevamenti americani si faccia un ampio uso di ormoni e antibiotici, una pratica non adottata in Svizzera. I consumatori dovranno quindi prestare maggiore attenzione alle etichette al momento dell’acquisto.

Fatta la tara ai punti più controversi dell’intesa (maggiore volume di investimenti diretti e importazioni alimentari non sempre in linea con i gusti dei consumatori svizzeri), l’accordo va considerato un punto fermo nelle relazioni tra Svizzera e Stati Uniti. Le imprese esportatrici possono tornare a competere più o meno ad armi pari con le concorrenti dell’Unione Europea, e solo il tempo dirà se si sarà trattato di un passo positivo. L’accordo, in conclusione, offre respiro alle imprese e chiarisce, almeno in parte, il quadro commerciale con Washington. Ma il vero banco di prova sarà la sua tenuta nel tempo, in un’epoca in cui nessuna certezza sembra destinata a durare.

In questo articolo: