Il commento

Cosa vuol dire eresia oggi

Dai seguaci di Fra Dolcino nelle terre dell’attuale Ticino del ‘300 agli eterodossi del mondo contemporaneo
Alessio Boni nei panni di Fra Dolcino arso vivo nel 1307 nella fitcion RAI dell’anno scorso «Il nome della rosa».
Carlo Silini
12.09.2020 06:00

Chi erano gli eretici di ieri? Chi sono quelli di oggi?

Mendrisio, 1303. Il cappellano della chiesa della Torre, Comasino de Panellis, riceve in casa propria - supponiamo in gran segreto - una delegazione di alti rappresentati di un gruppo di seguaci di Fra Dolcino da Novara, noto eretico, predicatore di un’imminente fine del mondo e fustigatore dei costumi corrotti della Chiesa di Bonifacio VIII, descritto da Umberto Eco ne Il nome della rosa, arso vivo a Vercelli quattro anni più tardi. I missionari dolciniani devono essere piuttosto convincenti, visto che Comasino chiede loro di poter leggere e copiare il libro che portano con sé.

Gli adepti “ticinesi” dell’antica eresia vengono smascherati da alcune testimonianze rese durante il processo ai seguaci di Guglielma da Milano, una famosa guaritrice lombarda morta nel 1281, anch’essa in odore di eresia. Le tracce dei passaggi dei dolciniani nelle nostre terre sono ricostruiti, nel CorrierePiù di oggi, dallo studioso Luca Fois e ci restituiscono un’epoca lontana di delatori e spie, agenti segreti dell’inquisizione e predicatori infiammati (in tutti i sensi, purtroppo) di dottrine eterodosse.

La storia dell’eresia in Ticino non è composta solo ed esclusivamente dall’evento-faro della fuga dei protestanti da Locarno quasi 500 anni fa

Le scoperte sui compagni di Dolcino tra Mendrisiotto e Leventina dimostrano che la storia dell’eresia in Ticino non è composta solo ed esclusivamente dall’evento-faro della fuga dei protestanti da Locarno quasi 500 anni fa. Certo, la vicenda delle famiglie, in tutto un centinaio di persone, che nel 1555 rifiutano l’abiura e partono in esilio a Zurigo resta emblematica di una stagione di intolleranza che solo la modernità è riuscita a interrompere sancendo il diritto inalienabile alla libertà di credenza e di coscienza.

Ma è probabile che la dissidenza religiosa tra le nostre valli e pianure abbia conosciuto molte altre declinazioni, anche se fino ad oggi mancano prove documentali in merito. Basti pensare al tristo capitolo della caccia alle streghe, che non a caso, nei secoli passati veniva definita “inquisitio haereticae pravitatis”: indagine sulla falsità eretica. O ai preti accusati di “modernismo” ancora agli inizi del XX secolo.

In tempi più recenti, dopo il Concilio Vaticano II, la Chiesa ha smesso di menzionare gli eretici, pur continuando a condannare le tesi dei teologi cattolici critici sulle posizioni vaticane. È stata la stagione del dissenso, con la non proprio minima differenza che gli eretici rischiavano la pelle, i dissidenti “solo” il posto in cattedra. E col paradosso che a volte Roma ha trattato meglio i veri eretici del XX secolo, come i tradizionalisti di Lefebvre accasati in Svizzera, che teologi dissidenti (progressisti), tipo Hans Küng.

Se tutto è relativo non esistono detentori indiscutibili di un’unica Verità universalmente riconosciuta, ma - al massimo - guardiani di dottrine valide solo per i propri fedeli. E se non c’è più una verità assoluta non ci sono più neanche dei veri eretici

Al di là dei necessari distinguo tra posizioni critiche e posizioni incompatibili con la dottrina ufficiale della Chiesa, oggi è impossibile parlare di eresia. La ragione è semplice: la battaglia contro le idee divergenti si basa sull’assunto che chi le giudica, le approva o le condanna possegga la verità. Ma nel frattempo la filosofia e la scienza hanno teorizzato l’impossibilità di accedere a una verità unica e assoluta. Ci sono dottrine che sono ritenute indiscutibili nei loro contesti di riferimento, ma al di fuori di essi smettono di essere pensate come tali. La stessa esistenza di Dio, punto di partenza irrinunciabile della maggior parte delle religioni monoteiste, è considerata una verità minuscola, valida “solo” all’interno del proprio credo. Le verità sono diventate più piccole, diversificate e plurali, spendibili solo nei confronti del proprio pubblico di riferimento, non all’esterno. Chiamasi relativismo. Non c’è più nulla di vero. Ci sono solo cose possibili, cose probabili e cose misurabili. Il resto viene relegato nel mondo della fantasia e coperto dalla nube del dubbio. A volte viene semplicemente negato: si butta nello stesso sacco il grandioso edificio intellettuale del cristianesimo, la sua straordinaria palestra del pensiero e la credenza in Babbo Natale o nelle silfidi dell’acqua. C’è da stupirsi se ai massimi livelli del potere mondiale si parli di epoca della post-verità?

Se tutto è relativo non esistono detentori indiscutibili di un’unica Verità universalmente riconosciuta, ma - al massimo - guardiani di dottrine valide solo per i propri fedeli. E se non c’è più una verità assoluta non ci sono più neanche dei veri eretici. Anzi: l’unica grande eresia contemporanea rimasta è la pretesa di possedere la verità.