Commento

Crescita e prezzi, il veleno dei dazi

L’effetto di anticipo delle tariffe USA registrato nei primi tre mesi sta limitando la frenata dell’economia mondiale nell’anno in corso, ma non c’è da farsi illusioni
©Richard Drew
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
24.09.2025 06:00

L’effetto di anticipo sui dazi registrato nei primi tre mesi sta limitando la frenata dell’economia mondiale nell’anno in corso, ma non c’è da farsi illusioni. Quello dei dazi è un veleno che comunque entra in circuito e che in un modo o nell’altro si fa sentire sui commerci e sulle economie. Tra gennaio e marzo, anticipando l’entrata in vigore delle nuove tariffe USA, molte imprese importatrici d’oltreoceano hanno fatto scorte e questo ha permesso di far girare ancora a buoni ritmi gli scambi. Ma questo effetto non può essere interamente replicato a dazi in vigore. La crescita economica nel 2025 ha incamerato l’effetto del primo trimestre, ma il freno dei dazi sta gradualmente inserendosi nelle dinamiche delle economie.

L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) ha reso note le sue nuove previsioni sulla crescita mondiale, indicando entrambi i lati della questione: da una parte la resilienza di gran parte delle economie, aiutata dall’effetto di anticipo sui dazi, dall’altro il rallentamento economico che comunque adesso sta proseguendo e che si manifesterà con maggiore evidenza l’anno prossimo, se i dazi USA rimarranno elevati, come sono ora. Per l’OCSE, il Prodotto interno lordo mondiale dovrebbe salire quest’anno del 3,2%, cioè 0,3 punti in più rispetto a quanto previsto in giugno, ma in ogni caso 0,1 punti in meno in rapporto al 3,3% del 2024; nel 2026, poi, la crescita dovrebbe essere minore, del 2,9%, come già era stato indicato in giugno.

Uno degli aspetti più paradossali della vicenda dei dazi è quello che riguarda il rallentamento economico degli stessi Stati Uniti. Per l’OCSE, l’economia americana quest’anno dovrebbe crescere dell’1,8%, cioè un intero punto percentuale in meno rispetto al 2,8% del 2024; inoltre, l’anno prossimo l’aumento del PIL statunitense non dovrebbe andare oltre l’1,5%. Se così sarà, ci sarà una conferma del fatto che la politica dei dazi voluta dal presidente USA Trump sta frenando la crescita mondiale, sì, ma anche quella degli Stati Uniti. Anzi, per l’OCSE l’economia USA dovrebbe essere tra le più danneggiate. La pur lenta Eurozona dovrebbe crescere dell’1,2% quest’anno e dell’1% il prossimo, poco ma qualcosa di più dello 0,8% del 2024. Il Regno Unito dovrebbe essere all’1,4% quest’anno e all’1% il prossimo, non molto ma non distante dall’1,1% del 2024. Senza i dazi, si potrebbe crescere tutti di più e il discorso riguarda anche il PIL degli USA.

Con la politica dei dazi di Trump gli Stati Uniti rischiano poi di tirarsi la zappa sui piedi anche sul versante dei prezzi. Le nuove tariffe sull’import spingono in direzione di un aumento dell’inflazione. È difficile pensare che le imprese assorbano il maggior costo dell’import solo riducendo i loro margini, è chiaro che una parte più o meno grande verrà scaricata sui prezzi e quindi sui consumatori. Ai dazi bisogna poi aggiungere la debolezza del dollaro, che da un lato facilita l’export USA ma dall’altro rende ancor più caro l’import statunitense. L’economia americana è dunque l’unica, tra quelle avanzate che sono indicate nel comunicato dell’OCSE, che con ogni probabilità andrà verso aumenti dell’inflazione sia quest’anno sia il prossimo. Questa la serie stimata dall’OCSE per gli USA: 2,5% nel 2024, 2,7% nel 2025, 3% nel 2026.

L’obiettivo delle maggiori banche centrali, Federal Reserve americana inclusa, è avere un’inflazione media annua del 2%. La Banca nazionale svizzera è tra le eccezioni, con il suo obiettivo della fascia 0%-2%; fortunatamente la Confederazione è da sempre Paese a bassa inflazione e anche ora infatti siamo poco sopra lo zero. La Fed è quindi tra gli istituti centrali in maggior difficoltà. Spinta anche dagli attacchi di Trump, adesso sta tagliando i tassi di interesse per supportare la crescita, ma così facendo rischia di non poter frenare la risalita dell’inflazione USA, che viaggia verso il 3%. Trump e i suoi dazi stanno mettendo la Fed ancor più alle strette e anche questo non è un buon risultato.

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