Commento

Crescita, il prima e il dopo 2 aprile

La data dell’annuncio dei nuovi dazi USA è stata uno spartiacque per le economie e per i mercati
©Mark Schiefelbein
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
17.06.2025 06:00

C’è un prima e c’è un dopo 2 aprile, nel senso che la data dell’annuncio dei nuovi dazi USA è stata uno spartiacque per le economie e per i mercati. Da quel momento è stato chiaro a quasi tutti, anche ai molti che si cullavano nell’illusione di una linea soft del presidente americano Trump, che il quadro economico era destinato a peggiorare. Sino a dove si spingerà il peggioramento è ora difficile dire, le previsioni infatti sono ancor più complicate del solito, anche perché l’attuale Amministrazione USA si caratterizza pure per i cambiamenti di posizione e per la confusione sui numeri per i dazi, sugli accordi fatti o non fatti, sulle misure attuate o sospese.

In mezzo a tanta incertezza, due certezze ci sono: con il ritorno di Trump il neoprotezionismo USA è ancor più aggressivo e dunque di qui in poi le barriere commerciali saranno più alte di prima, si tratta di vedere di quanto alla fine; ai maggiori dazi americani corrisponderanno inevitabilmente misure degli altri Paesi o aree, con un effetto complessivo dazi-controdazi negativo per gli scambi e per la crescita economica.

Prima del 2 aprile la situazione già era difficile, soprattutto a causa della geopolitica e dei conflitti bellici, ma si era almeno creata una trincea economica visibile, grazie alla resilienza di molte economie e alla tenuta dei mercati finanziari. Tra le maggiori istituzioni economiche prevaleva la previsione di una crescita economica mondiale in rallentamento, sì, ma comunque ancora sopra il 3%. Le Borse avevano ben superato le cadute temporanee, con gli investitori che razionalmente avevano tenuto conto dell’assenza di recessione internazionale, del livello ancora soddisfacente degli utili aziendali, delle riduzioni dell’inflazione e dei tassi di interesse.

Dopo il 2 aprile le principali istituzioni economiche hanno rivisto al ribasso le previsioni sulla crescita del PIL globale nel 2025, che ora viene indicata come inferiore al 3%, per alcune schiacciata verso il 2%. E questo basandosi sullo scenario intermedio per i dazi, non sullo scenario peggiore. Le Borse sono nel complesso ancora a livelli alti, ma ci sono due elementi da precisare: dopo l’annuncio del 2 aprile c’è stata una caduta, che è poi stata recuperata grazie alle sospensioni di una fetta dei dazi e che ha comunque segnalato una chiara bocciatura del protezionismo; inoltre, nonostante il recupero, è diventato più alto il grado di volatilità dei listini azionari, con oscillazioni talvolta più marcate a causa delle incertezze legate da una parte alla geopolitica e ai purtroppo più ampi conflitti bellici, dall’altra appunto ai contrasti nei commerci. Come le economie, anche le Borse continuano a mostrare resilienza, ma sono ora più esposte alle turbolenze.

In tutto questo, la Svizzera resta tra i Paesi con maggior tenuta. È chiaro che anche la Confederazione risente del quadro internazionale, non c’è dunque da stupirsi del fatto che la SECO indichi ora una crescita elvetica, al netto degli eventi sportivi, pari all’1,3% nel 2025 e all’1,2% nel 2026, cioè rispettivamente di 0,1 e 0,4 punti in meno rispetto alle previsioni precedenti. Se così sarà, si tratterà ancora di tenuta. Occorre sempre ricordare che la Svizzera ha un PIL pro capite elevato e che quindi i suoi tassi di crescita ulteriore non possono essere molto alti.

Certo, sarebbe meglio essere al 2% e oltre di crescita, ma ora anche essere attorno all’1% non è da buttare. Il franco è molto alto e ciò da un lato crea ostacoli in più all’export elvetico, ma dall’altro rende meno caro l’import e contribuisce a tenere bassa l’inflazione, il che è un bene. La Banca nazionale svizzera, che questa settimana si pronuncerà, potrebbe attuare un nuovo taglio del tasso guida, portandolo a zero. Ciò potrebbe servire, anche se in realtà non più di quel tanto, a frenare il franco. Ma se la BNS andasse più in là, cioè nei tassi negativi, potrebbe anche generare effetti non desiderabili, soprattutto per il settore finanziario e per i risparmiatori. Il sistema Paese si sta comunque difendendo bene, sarebbe auspicabile non dover tornare ai tassi negativi.

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