Criminali per natura o per scelta?

Carlo Silini
10.08.2013 05:00

di CARLO SILINI - Va di moda il colpevole innocente. Non è un modo di dire, è la sconsolata costatazione che si trae leggendo le dichiarazioni di autori di crimini più o meno efferati (anche in Ticino, come si è appena visto) che dichiarano urbi et orbi che sì, è vero, quelle brutte cose le hanno commesse, però? Però non potevano farci niente. Non c?era proprio modo di opporsi alla loro natura bizzarra e prepotente che li spingeva, anzi li obbligava, a seconda dei casi, a rubare, oppure a uccidere, o a violentare, o, ancora, ad abusare di minori. A sentirli è come se fossero nient?altro che robot, macchine biologicamente programmate per soddisfare i propri impulsi deviati. Nella loro visione dev?esserci un Dio miope o sbadato che li ha allestiti con un «quid» di perversione in più, qualcosa contro cui è inutile lottare: una spinta primordiale come la fame, la sete o il sonno. Puoi provarci quanto vuoi a contenerla, alla fine devi assecondarla. Come i poveracci che rubano il pane per non morire di fame.L?impulso (perché anche noi, qualche volta, abbiamo una natura che ci spinge in modo incontrollabile ad enunciare solennemente questa verità) sarebbe quello di dire, con rispetto parlando, che son tutte balle. Tutti gli esseri umani, dal più mite al più aggressivo, devono fare i conti con una propria personalissima galassia di pulsioni, voglie e desideri che, se venissero sempre e comunque soddisfatti, produrrebbero guai. Lo sa bene, banalmente, chi si mette a dieta o cerca di smettere di fumare. Battaglie feroci, faticose. Ma da lì a dire che non si può far nulla per combatterle ce ne passa (ne parleremo più avanti). Sfogata senza sfumature questa convinzione primaria dobbiamo però ammettere che a dar manforte alla tesi del male commesso «per natura» ci si sono messe le neuroscienze. Lo scorso anno è apparso in Italia un saggio dal fascino inquietante (titolo: «Il delitto del cervello. La mente tra scienza e diritto») nel quale gli autori – Andrea Lavazza e Luca Sammicheli – documentano casi in cui malattie o deficit cerebrali hanno davvero impedito ai soggetti che ne erano colpiti di mantenere il controllo sul proprio comportamento. Si cita la vicenda di Charles Whitman, un brillante e tranquillo 25.enne che nel 1966 sembrò perdere di colpo il senno e fece una carneficina all?Università del Texas dove venne poi abbattuto dalla polizia. Poco prima aveva ucciso anche la moglie e la madre. Prima ancora aveva lasciato un biglietto nel quale scriveva che non sapeva spiegarsi neppure lui la ragione di quello che avrebbe commesso perché, ammise, «amo teneramente Kathy» (sua moglie). Ma da qualche tempo, aggiunse, era afflitto da pensieri «irrazionali e insoliti». Facendone l?autopsia, i medici trovarono nel suo cervello un tumore grande come una monetina che comprimeva l?amigdala (una struttura che ha un ruolo fondamentale nella regolazione delle emozioni). A loro modo di vedere quel tumore aveva trasformato un cittadino modello in uno dei peggiori assassini d?America.Dallo stesso saggio apprendiamo che altri studiosi, come il neuropsichiatra Baron-Cohen, affermano addirittura che alcune persone hanno una vera e propria predisposizione genetica al crimine. Non è neppure necessaria una malattia cerebrale, basta il DNA a fare di certi individui dei «mostri». Sarà. Ma a noi tutto questo determinismo secondo il quale ci sono persone buone o cattive «per natura» sembra svilire l?idea di responsabilità umana e privare di fondamento l?esercizio stesso della giustizia. Se hanno ragione loro, saremmo tutti degli automi che rispondono agli impulsi iscritti nel nostro hard disk. Troppo comodo per i criminali. E troppo brutto per tutti gli altri. Significherebbe che in realtà nessun uomo è libero, che saremmo schiavi dei nostri geni e passivi esecutori dei loro programmi. Macchine. Vorremmo però evitare che il discorso si faccia troppo teorico e distante. Il punto è: in che misura certe persone possono davvero invocare la propria innocenza pur avendo commesso dei crimini? Proponiamo quello che ci pare un argomento decisivo. Su chi si ripercuotono le conseguenze di queste presunte «invincibili» tendenze? Se mangi in modo incontrollato ingrassi e rischi di incorrere in svariate gabole fisiche, ma non è che tuo figlio, il tuo vicino di casa o il passante per strada ne risentano (non in modo diretto, perlomeno). Vuoi star male? Non vuoi fare niente per uscirne? Affari tuoi. Se invece metti le mani addosso a qualcuno, spiacente, ma la tua indomabile pulsione si nutre della sua sofferenza. Tu sei pericoloso per gli altri, non sono solo fatti tuoi, e hai il dovere di lottare, di cercare un modo per non danneggiare il mondo. E i modi esistono, primo fra tutti parlarne con uno specialista della psiche. Se non lo fai, scegli consapevolmente di far pagare a qualcun altro, molto spesso qualcuno di piccolo e indifeso, il tuo «disturbo naturale». Sarà anche vero che non sei in grado di controllarti, ma sicuramente sei sempre in grado di farti curare.

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