Dalla yurta a Paradeplatz poco cambia

Insomma, ogni scenario è possibile: da quello di non venirne a una, con la prospettiva di dover applicare il 9 febbraio per via d'ordinanza; a quello di una soluzione soft, che non prevede una massiccia riduzione dell'immigrazione ma solo accorgimenti per
Giovanni Galli
12.08.2016 02:05

di GIOVANNI GALLI - I lavori per l'attuazione dell'iniziativa del 9 febbraio stanno ormai entrando in una fase cruciale, ma l'esito resta più che mai incerto. A fine mese la Commissione delle istituzioni politiche del Nazionale tornerà a chinarsi sulla clausola di salvaguardia unilaterale proposta quest'inverno dal Consiglio federale, in attesa che Berna e Bruxelles riuscissero a trovare un accordo su come limitare l'immigrazione. Siccome la Brexit ha scompaginato le carte – rinviando a data da destinarsi i negoziati che la Svizzera spera sempre di aprire con l'Unione europea – le possibilità di trovare una soluzione consensuale in tempi brevi sono sfumate. Si presume che a livello diplomatico si stia lavorando alacremente in vista del prossimo incontro fra il presidente della Confederazione Johann Schneider-Ammann e il capo della Commissione europea Jean-Claude Juncker, in programma a Zurigo il 19 settembre; non foss'altro per rilanciare le consultazioni dopo il nulla di fatto del minivertice in Mongolia di metà luglio.

Ma visti i precedenti infruttuosi e le nuove priorità dell'UE a seguito del referendum britannico, è inutile farsi troppe aspettative. Può darsi, come si vocifera, che l'UE sia disposta a fare qualche minima concessioni, ma fra la yurta di Ulan Bator e Paradeplatz, la sostanza del problema non cambia: una gestione autonoma dell'immigrazione tramite contingenti e tetti massimi non è compatibile con la libera circolazione delle persone.

La commissione del Nazionale sta quindi cercando di trovare una soluzione che consenta di realizzare almeno in parte gli obiettivi dell'iniziativa e al tempo stesso di preservare i Bilaterali. Se si creerà una maggioranza, la legge potrà essere esaminata già in settembre dalla Camera del popolo e in dicembre dagli Stati, per poi eventualmente entrare in vigore nel mese di febbraio del 2017. La soluzione governativa, che prevede tetti massimi e contingenti, non piace né ai fautori dei Bilaterali né all'UDC, che la ritiene troppo vaga. Si propende quindi per misure interne che non dovrebbero portare ad uno scontro con l'Unione.

Le proposte sul tappeto sono essenzialmente due. La prima, sostenuta da PLR e PPD, è una forma lieve di preferenza indigena, nel senso di obbligare i datori di lavoro ad informare gli uffici di collocamento sui posti vacanti prima di reclutare manodopera all'estero. La seconda, presentata da Marco Romano (PPD) e per ora meno condivisa della prima, prevede una clausola di salvaguardia regionale e per branca economica secondo il modello Ambühl proposto dal Governo ticinese. Si interverrebbe solo in situazioni rilevanti, con provvedimenti limitati nel tempo, di competenza dei Cantoni e dei partner sociali.

Considerate le divergenze che restano ancora da appianare, è prematuro cantare vittoria. Ammesso che su queste due proposte si riesca a trovare un'intesa in commissione, resterebbe ancora da superare lo scoglio del Nazionale e soprattutto degli Stati. I quali, come ha insegnato il braccio di ferro sulla Croazia, potrebbero attenersi ad una linea formalista e meno pragmatica.

Insomma, ogni scenario è possibile: da quello di non venirne a una, con la prospettiva di dover applicare il 9 febbraio per via d'ordinanza; a quello di una soluzione soft, che non prevede una massiccia riduzione dell'immigrazione ma solo accorgimenti per contenerla. In questa fase di incertezza, una soluzione del genere potrebbe andare bene sia a Bruxelles sia a Berna. Alla prima, perché dovrà misurarsi con le incognite del dopo Brexit e ritrovare un assetto stabile al proprio interno. Alla seconda perché sull'immigrazione si tornerà comunque a votare. Nel mese di novembre del 2019 scadrà il termine per sottoporre a giudizio popolare l'iniziativa RASA che vuole stralciare l'articolo costituzionale approvato il 9 febbraio 2014. Chi già adesso parla di controprogetto e vede in questa votazione un'occasione per uscire dall'impasse, avrà anche una grossa responsabilità: fissare nella Carta fondamentale nuovi principi in materia di immigrazione e di rapporti con l'UE.

Nel frattempo bisognerà anche fare i conti con l'oste. L'UDC, stando alle dichiarazioni degli ultimi giorni, sembra davvero intenzionata a non lanciare un referendum contro la legge sugli stranieri con cui è alle prese il Parlamento, preferendo il poco che passa il convento al nulla assoluto. Non sarebbe nemmeno la prima volta. Dall'Iniziativa delle Alpi a quella più recente per limitare le residenze secondarie, tutti i promotori di proposte di difficile applicazione hanno dovuto scendere a compromessi, ingoiando qualche boccone amaro. Bisognerà vedere però a quali condizioni il partito di Rösti e Blocher si tratterrà dal combattere una soluzione poco gradita e soprattutto se darà seguito alla minaccia di lanciare un'iniziativa popolare per abolire la libera circolazione.

Visto il sostegno attestato a più riprese nei sondaggi ai Bilaterali, è probabile che piuttosto che imboccare una via senza chiare prospettive di vittoria, l'UDC preferisca concentrare le energie nella battaglia sui rapporti con l'Unione europea. Proprio negli scorsi giorni Blocher e il suo comitato «contro l'adesione strisciante all'UE» hanno avviato una campagna preventiva per combattere l'accordo quadro istituzionale, che la Svizzera sta ancora negoziando con Bruxelles con l'intento di creare una base giuridica comune per tutti i trattati bilaterali. E in subordine, proprio oggi saranno depositate a Berna le firme dell'iniziativa popolare «Il diritto svizzero anziché i giudici stranieri». Gli argomenti saranno anche fragili, ma il segnale su dove si voglia andare a parare è chiaro.