L’editoriale

Djokovic e il lato oscuro dello sport

Tra interessi economici e giochetti politici: la triste vicenda non è ancora finita
Novak Djokovic punta a difendere il titolo all’Australian Open. ©AP/ANDY BROWNBILL
Flavio Viglezio
10.01.2022 20:31

Novak Djokovic ha dunque vinto il primo, importantissimo set, della partita che lo oppone al governo australiano. La sfida però non è ancora terminata. Toccherà al ministro dell’immigrazione, Alex Hawke, decidere le sorti del tennista serbo. Dovesse ribaltare la decisione del giudice che ha restituito al numero 1 al mondo della racchetta il suo visto di entrata nel Paese – e la dignità calpestata, secondo i suoi sostenitori – la già triste vicenda andrebbe ad assumere definitivamente i contorni di una farsa.

La Corte federale non ha infatti nemmeno sfiorato il nocciolo della questione. Djokovic riempie tutte le condizioni richieste per entrare in Australia? Per ora nessuno lo sa con esattezza e il giudice Anthony Kelly si è limitato a constatare le lacune comportamentali delle autorità doganali che hanno negato al più bravo tennista del pianeta l’accesso al Paese. E ha rispedito la patata bollente al Governo di Canberra.

«Cosa avrebbe potuto fare di più, quest’uomo?», si è chiesto il giudice Kelly. Per cominciare, avrebbe dovuto evitare di presenziare a due eventi pubblici il giorno dopo essere stato testato positivo al coronavirus. Delle due l’una: o Djokovic è un incosciente senza scrupoli, oppure non ha mai contratto la COVID-19 in dicembre. E diventerebbe allora un bugiardo. Più in generale, l’attitudine menefreghista di Nole nei confronti di una crisi sanitaria a livello mondiale e le deliranti dichiarazioni del suo team e della sua famiglia in particolare – che lo ha comparato a Gesù e lo ha eletto a guida spirituale di un nuovo mondo libero – non fanno che esasperare la diatriba, ulteriormente amplificata dai social network, tra pro-vax e no-vax.

L’intera telenovela ha inoltre portato a galla il lato più oscuro e nauseabondo dello sport. Quello pilotato da inconfessabili interessi economici, che fanno rapidamente perdere la testa e il senso della realtà. Che si attribuisce privilegi figli di una – spesso – solo passeggera ed effimera celebrità. Uno sport che si trasforma nello strumento per regolare conti politici. Djokovic non si è probabilmente nemmeno accorto di essere diventato un semplice fantoccio tirato da una parte dal governo australiano, di destra, e dall’altra da quello di sinistra dello Stato di Victoria. Uno strumento di propaganda politica in vista delle elezioni federali in programma nel prossimo mese di maggio.

Qualunque sarà la decisione del Ministro dell’immigrazione, nessuno uscirà insomma pulito da questa triste storia. Intanto Djokovic ha già fatto sapere di voler partire alla conquista del suo decimo Australian Open. Nel suo delirio di onnipotenza – figlio del talento nel saper maneggiare con abilità una racchetta da tennis – non c’è spazio per la riflessione. Per i ripensamenti. Per una metaforica carezza all’indirizzo di chi, in quel centro per richiedenti d’asilo in cui è stato costretto a vivere solo per qualche giorno, ci marcisce da anni. O per una parola di solidarietà verso la gente di Melbourne, confrontata con un lockdown lunghissimo e particolarmente duro. E che oggi si interroga.

Se gli verrà concesso di partecipare al primo Major della stagione, forse tra poco meno di tre settimane Djokovic alzerà sorridente il trofeo al cielo. A che prezzo? La sua immagine – già non immacolata – rischia di uscirne ulteriormente rovinata. Sì, forse Nole riuscirà a coronare il sogno di superare Roger Federer e Rafael Nadal nella classifica dei Grandi Slam conquistati. Un giorno il tennis potrà allora ricordarlo come il più forte di tutti i tempi. Ma non sarà mai il più grande.

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