Dov’è finita la cultura alternativa?

Donald Trump ha raggiunto un tale grado di virtuosismo nel produrre gaffes e menzogne (pardon: «post-verità») che in novembre corre il serio rischio di essere rieletto. Nemmeno ci proviamo a elencare le castronerie uscite dalla sua bocca solo nel periodo della pandemia e dei moti antirazzisti, le sue acrobatiche versioni dei fatti, girate e rigirate come frittelle a seconda della bisogna. L’impudenza è seconda solo all’ignoranza. E sono queste le carte vincenti in un mondo in cui la cultura puzza d’imbroglio e il ragionamento logico di raggiro. Ha i soldi, le donne, il potere: dovrà mica scomodarsi per argomentare le proprie contraddizioni!


Chi si chiede che fine ha fatto la controcultura e la galassia ribelle di movimenti e gruppi impermeabili ai valori e ai modelli dominanti di comportamento è servito: non c’è bisogno di controcultura se non c’è cultura. E così, anche chi ha ragione, come i manifestanti che rivendicano la fine delle violenze razziste, non si fa problema ad abbattere statue, cioè a cancellare la propria storia, come i talebani coi Buddha di Bamiyan in Afghanistan. O a criminalizzare i moretti.
Già, la controcultura. Ne parliamo nel CorrierePiù di oggi, evocando un capitolo stupefacente – nel vero senso della parola – di quella degli anni Sessanta: la rivoluzione psichedelica (a cui ha contribuito in maniera determinante la scienza farmaceutica svizzera producendo l’LSD). No, i ventenni di oggi non smaniano di partire in autostop per l’India per aprire «le porte della percezione» o di vivere in una comune passandosi erba, funghetti e materassi. Il «sesso libero» di allora era trasgressione, il «poliamore» di oggi una pratica omologante sdoganata dai film. La canna di ieri un rito di condivisione antisistemica, quella di oggi una borghese botta di antistress.


Manca, di quell’epoca, la follia e la creatività. Ridateci il rock, la buona letteratura, la poesia. Tenetevi le dipendenze tossiche spacciate per accessi a un modo “altro” e più profondo, come se lo sballo chimico che brucia neuroni ed esistenze equivalesse a un vero viaggio sciamanico. Forse c’è qualcosa da salvare anche su quel fronte, visto che negli ultimi anni seri studi stanno esplorando le proprietà terapeutiche di certe sostanze e propongono di utilizzarle, sotto supervisione medica, per curare patologie psichiatriche come la depressione, l’ansia dei malati terminali e altri malesseri e fantasmi. Vedremo.
Ma a mancare è soprattutto l’utopia, l’urgenza di cambiare il mondo. Magari si è solo trasformata: ha buttato le tuniche variopinte degli hippy e veste senza eccessi, come Greta Thunberg o le donne dello sciopero dell’anno scorso. Si protesta convintamente, ma non c’è aria di un nuovo Sessantotto.
Viviamo tempi gretti e apatici? Diremmo piuttosto che la rivoluzione di quegli anni ci è entrata sottopelle, perciò la ribellione ha perso gran parte della sua forza propulsiva. Molte rivendicazioni delle controculture di allora sono cantieri aperti e spesso ben avviati nelle società di oggi. Come per le questioni di genere, i costumi sessuali, l’ecologismo. La marijuana è in via di legalizzazione in molti Paesi. Il vegetarianesimo più che una bizzarria, è quasi un dogma, al contrario del servizio militare. A ben guardare, gli hippy hanno vinto. E sorge il sospetto che la controcultura, oggi, finisca con l’essere reazionaria. Dove troviamo le narrazioni alternative contemporanee del reale? Nella battaglia ambientalista o nei teoremi complottisti? Nella difesa dei diritti delle minoranze o nell’affermazione fascistoide del primato della (propria) razza?


E poi c’è internet. Un tempo la ribellione covava in circoli chiusi ed esclusivi. Oggi puoi accedere a qualsiasi approccio alternativo alla realtà da un motore di ricerca qualsiasi. Non c’è più nulla di veramente carbonaro. Al massimo esiste qualche club un po’ più nerd che per darsi un’aria di fascinosa clandestinità si dà appuntamento nel dark web. Non per dare scacco matto a un mondo che non piace più, ma per sfruttare al massimo il buen retiro elettronico che ci ha messo a disposizione per condividere liberamente idee non convenzionali.