Dublino, Brexit e la perfida Albione

IL COMMENTO DI GERARDO MORINA
Gerardo Morina
Gerardo Morina
29.11.2017 06:00

di GERARDO MORINA - La storia insegna che, fin dalla conquista normanna del XII secolo, tra irlandesi e inglesi non è mai corso buon sangue. Uniti, anche se con inflessioni diverse, dalla stessa lingua, ma divisi da due religioni (la cattolica e la protestante). Di ascendenza celtica i primi, sassone (e quindi germanica) i secondi. Separati geograficamente da un braccio di mare e, al pub, da due tipi diversi di birra e di whisky. Ma, soprattutto, tanto diversi da non poter convivere senza screzi, come dimostrò l'insurrezione irlandese del 1916 e la conquista prima di una semi-indipendenza nel 1923 e poi di una indipendenza definitiva nel 1948, con la separazione tra la Repubblica d'Irlanda e il Nord Irlanda entrato nella giurisdizione di Londra. Se ancora oggi gli inglesi pensano all'Isola di Smeraldo, vengono loro in mente «The Troubles» (i sanguinosi disordini tra comunità protestante e cattolica in Nord Irlanda, iniziati negli anni Sessanta del secolo scorso e terminati solo nel 1998 con gli Accordi del Venerdì Santo), nonché «The Irish Question», la «questione irlandese» che tanta parte ebbe nei rapporti tra i due Paesi nel XIX e nel XX secolo.

Oggi la storia si ripete e a tener banco è la nuova questione irlandese rappresentata dalle caratteristiche che dovrà avere il confine tra le due Irlande, destinato, come conseguenza della Brexit, a diventare nel 2019, salvo correzioni di rotta, l'unica frontiera terrestre (a parte Gibilterra) tra Unione europea e Gran Bretagna. Sventata per un soffio,ieri, una crisi di governo dopo le dimissioni della vice-premier Frances Fitgerald per vicende interne, Dublino potrà ora concentrarsi con maggior vigore a fare sentire la propria voce con Londra. Perlomeno a livello mediatico la guerra è già in corso. Negli ultimi giorni il quotidiano britannico «The Sun» ha invitato il premier irlandese Leo Varadkar a «chiudere il becco», mentre Paul Gillespie, una firma del quotidiano irlandese «The Irish Times», ha scritto di nutrire timori per la «perfida Albione» (nella storia l'espressione è di molto antecedente all'uso che ne fece Mussolini). La tensione è quanto mai alle stelle perché la questione batte su un nervo che per l'Irlanda è estremamente delicato. Dublino teme infatti con la Brexit di vedere ristabilirsi dazi e controlli per merci e persone mediante l'imposizione da parte della premier britannica Theresa May di un «hard border» (un confine rigido, tra Irlanda e Gran Bretagna), tale da far prospettare pesanti ripercussioni economico-commerciali e rievocare la memoria storica di trent'anni di conflitto civile tra Nord e Sud.

Talmente fondamentale è la questione per la Repubblica d'Irlanda che il governo di Dublino ha già indicato che, se non verrà sostenuta e risolta la sua richiesta di mantenere anche in futuro una frontiera aperta come quella attuale, metterà il veto sul passaggio alla fase 2 dei negoziati che Londra si trova ad affrontare sulla Brexit con Bruxelles. Se l'Unione europea dovesse accogliere la posizione dell'Irlanda, ciò si ripercuoterebbe pesantemente sulla premier May che assisterebbe ad una possibile spaccatura nel suo governo provocata dall'ala più euroscettica dei conservatori e dall'opposizione degli unionisti irlandesi del Partito Democratico Unionista (DUP) che costituiscono una fondamentale stampella per la sopravvivenza dello stesso governo. Pochi giorni fa i deputati del DUP, che difendono l'appartenenza dell'Irlanda del Nord al Regno Unito, hanno affermato molto chiaramente che non approveranno alcun accordo sulla Brexit che contempli un'eccezione, ovvero la creazione di una specie di territorio separato da trattare in maniera diversa rispetto al resto della nazione. D'altra parte, uscendo dall'Unione europea, Londra prevede di abbandonare il mercato unico e l'unione doganale e ciò significa, tra le altre cose, che ai confini saranno ripristinati i controlli, fino ad oggi assenti per quanto riguarda sia le merci sia l'identità delle persone.

Le conseguenze potrebbero essere economiche ma non solo: potrebbero cioè nel contempo portare, tra il Nord e il Sud dell'Irlanda, ad una nuova destabilizzazione tra la popolazione, nonché mettere a rischio l'accordo di pace del 1998, del quale il Regno Unito è co-garante. Il processo da una non frontiera ad una frontiera vera e propria si annuncia dunque estremamente spinoso ed interviene a pesare in modo altrettanto se non più consistente degli altri due nodi che Londra deve sciogliere per uscire dall'Unione europea, ovvero il prezzo da pagare a Bruxelles per il divorzio e l'obbligo della tutela dei diritti dei cittadini europei che risiedono nel Regno Unito. Per ora non c'è nessuna soluzione pratica in vista e la nuova questione irlandese è destinata a turbare ancora a lungo i sonni di Theresa May.

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