E lei, Fantozzi, come la pensa?

DI BRUNO COSTANTINI - E lei, Fantozzi, come la pensa?». All'infida domanda del direttore megagalattico con poltrona in pelle umana, il ragionier Ugo immancabilmente rispondeva: «Esattamente come lei». «E cioè?», replicava l'altro. «Nel migliore dei modi!». Sbilanciarsi può essere talvolta scomodo, socialmente inappropriato, perché il gregge dominante non perdona. Purtroppo, oggi comincia a essere difficile aggirare il perfido quesito: e tu, da che parte stai? Complice il regno liquido dei pensieri subitanei affidati con leggerezza ai cosiddetti «social media», ci sono molti temi che l'attualità ci scodella quotidianamente addosso che finiscono automaticamente per dividere e per creare tifoserie contrapposte, virtuali e reali. A bordo campo ci sono sempre incontenibili esagitati pronti a mandarti a dar via il lato B, un po' come succede con certi genitori dei ragazzi impegnati nel nostrano campionato di calcio D9, specchio di un'umanità che va ben oltre la partitella del pargolo. Le sensibilità più disparate si possono manifestare su faccende assai prosaiche come sulle grandi tensioni ideali che interrogano la nostra coscienza sul bene e sul male: preferisci il panettone o il pandoro? La colomba classica o quella al cioccolato? Il mare o la montagna? Stai con l'orsetto «numero 4» (e con i suoi consimili adulti impallinati e impagliati) o con chi ha deciso di sopprimerlo? Stai col cane o col gatto? Con Sergio Savoia o con Greta Gysin? Sei pro o contro il ceffone per educare i figli? È un attimo far partire la baruffa e ritrovarsi in un gorgo fatale, motivo per il quale è meglio andarci piano coi giudizi e prendersi le dovute cautele. Dunque, qui lo dico e qui lo nego: io sto con l'orso (e, se del caso, anche col lupo). E sto col micio, che è un fantasista assai più scaltro del cane, il quale potrà anche essere pericoloso (a dipendenza dell'intelligenza e dell'educazione sempre incerte del padrone), ma non sarà mai all'altezza di un Behemot, il mefistofelico gatto del «Maestro e Margherita». Di Savoia e Gysin non dirò, meglio passare ai ceffoni. L'altro ieri, alla Pretura penale di Bellinzona, un padre è stato assolto dall'accusa di coazione e vie di fatto per aver tirato un paio di schiaffi alla figlia adolescente e averla chiusa in camera per castigo. Secondo la giudice, il babbo ha fatto quanto «rientra nei doveri di educazione dei genitori». Ci voleva un tribunale per stabilirlo. Non è la prima volta, anche da noi, che un caso simile finisce davanti alla giustizia. Il che – qui lo dico e qui lo nego, sapendo che vespaio finirei per scatenare – è piuttosto aberrante. Al di là del caso specifico, e fermo restando che le pratiche manesche difficilmente possono essere educative, bisogna ammettere che a furia di raccontare baggianate su come allevare la prole, con metodo psico-pedagogicamente corretto, si è perso il buon senso, verosimilmente senza nemmeno portare beneficio alla crescita dei figli. I quali arrivano poi all'università e minacciano gesti estremi se qualcuno ruba loro la merenda. Non è un'invenzione, ma un fatto sentito direttamente dalla viva voce di una giovane universitaria ticinese, che peraltro ha girato il mondo ed è tutt'altro che stupida: «Non posso fare l'Erasmus. Giuro, mi ammazzo!». E giù lacrime e isterismi. Ma cos'è mai 'sto Erasmus? Facendo astrazione dalla propaganda dei baroni degli atenei, se arriviamo a queste assurdità da paese dei balocchi, a questa oggettiva fragilità nell'affrontare le minuzie della vita, vuol dire che abbiamo sbagliato qualcosa, anzi molto. Qui lo dico e non lo nego: ritorniamo alla realtà, alla faccia di quel che pensa il direttore megagalattico con poltrona in pelle umana.