È «reset» nei rapporti USA-Russia

Un passo che poggia su reciproche necessità e debolezze
Gerardo Morina
Gerardo Morina
10.03.2009 11:11

di GERARDO MORINA - Se dai proficui colloqui degli Anni Ottanta tra Reagan e Gorbaciov emergevano due parole, «glasnost» e «perestrojka», destinate a costituire i pilastri dell?addio sovietico al comunismo, dagli incontri della scorsa settimana tra il segretario di Stato americano Hillary Clinton e il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov sono nate altre due parole che la dicono lunga sulle aperture in atto tra Washington e Mosca.«Reset» (ricominciare, ripartire da zero) portava scritto una simbolica scatoletta, dotata di pulsante e con tanto di traduzione russa, offerta dalla Clinton al suo interlocutore. Traduzione peraltro risultata sbagliata perché invece del termine esatto corrispondente a «reset», ovvero «perezagruska», gli americani hanno usato la locuzione «peregruska», fatto che ha creato un equivoco con Mosca. «Peregruska» traduce infatti la parola inglese «surcharge» (sovraccarico), errore fatto notare amichevolmente da Lavrov ma che non ha minimamente intaccato lo spirito dell?incontro, da entrambe le parti volto a creare le basi per un effettivo «risettaggio» delle relazioni. Si tratta di un passo di puro valore real-politico e che poggia su reciproche necessità e debolezze. In altre parole, in questo momento la Russia serve all?America. E viceversa.La Russia serve all?America essenzialmente perché due sono le attuali priorità della politica estera di Obama: l?Afghanistan e l?Iran. In Afghanistan l?aiuto di Mosca è importante perché i rifornimenti NATO e americani attraverso il Pakistan sono minacciati dai taleban e l?unica via alternativa, attraverso il Caucaso e l?Asia centrale, è quella russa. Un aiuto, questo, che anche a Mosca risulterebbe vantaggioso concedere perché l?islamismo militante dei taleban minaccia di contagiare le ex-repubbliche sovietiche dell?Asia centrale, e poi la stessa Russia. In Iran Washington preme invece perché Mosca intervenga al fine di fare interrompere il processo di arricchimento dell?uranio (prodromo della costruzione dell?arma atomica) negando l?appoggio russo al nucleare civile iraniano e cessando di vendere missili a Teheran. È un vero e  proprio atto di scambio. Se infatti Mosca si dimostrasse disponibile in tal senso, Washington è pronta fin d?ora a rivedere il proprio progetto di schierare radar e missili intercettori in Polonia e Repubblica ceca, progetto che rappresenta, agli occhi dei russi, il simbolo della mancanza di riguardo degli americani per i loro interessi. Essendo lo «scudo spaziale» stato creato in funzione anti-iraniana, l?eventuale intervento russo avrebbe il pregio di eliminare o perlomeno di attenuare la minaccia iraniana, rendendo così superflua sia l?installazione di missili balistici americani e sia, di conseguenza, l?eventualità di un?opzione militare anti-iraniana da parte di Washington. Inoltre, se, come è vero, l?allargamento della NATO costituisce un?altra preoccupazione di Mosca, gli Stati Uniti si dimostrano ora su questo punto estremamente flessibili. È infatti ormai evidente che l?allargamento dell?Alleanza a Ucraina e Georgia risulta rinviato sine die, mentre i Paesi dell?Europa centro-orientale possono contare oggi meno di quanto sperassero sulla garanzia strategica degli Stati Uniti.Dal canto suo anche la Russia ha bisogno dell?America, perlomeno per due motivi. Il primo è che, nonostante le sue manifestazioni di forza, si tratta di un Paese anch?esso colpito con estrema durezza dalla crisi finanziaria e dal crollo del prezzo del petrolio. Il secondo motivo non è che una conseguenza di tale situazione. Mosca ha bisogno di un accordo vincolante giuridicamente per poter limitare l?arsenale americano, non essendo più in grado di sostenere una nuova corsa agli armamenti con gli USA. Uno dei capitoli più importanti nell?ambito della lotta alla proliferazione degli armamenti sarà il negoziato sullo Start I, il Trattato sulla riduzione degli armamenti strategici in scadenza a dicembre. Russi e americani continueranno a parlarne, dettati, anche qui, da reciproci interessi. La riduzione di armi strategiche (si parla di un migliaio di testate per parte) avrebbe infatti un doppio vantaggio per entrambe le parti: non solo garantirebbe una dissuasione reciproca come ai tempi della Guerra Fredda, ma creerebbe anche una riserva di capacità nucleari sempre utile al fine di fronteggiare altre eventuali minacce. Non ultima quella cinese.