Parole chiare

E ribadiamolo (ma non in rete)

La rubrica del direttore Fabio Pontiggia
Fabio Pontiggia
Fabio Pontiggia
23.01.2019 18:12

I giornalisti dello sport hanno la fortuna di potersi sbizzarrire con un linguaggio ricco di metafore e di iperboli che in altri ambiti non sarebbero bene accette. E hanno anche un loro gergo, che spesso e volentieri strapazza i dizionari. A volte però entrano a gamba tesa sulla lingua di Dante. E si meritano perlomeno il cartellino giallo. Da qualche tempo è in voga l’uso del verbo “ribadire” in un significato stucchevole, che nessun vocabolario accoglie. Ecco un esempio: “Un errore di Zgraggen ha immediatamente consentito al Langnau di pareggiare, grazie a Himelfarb, al 4’, abile a ribadire in rete una respinta di Conz”. Ribadire in rete? Oh poffarbacco: cos’avrà mai fatto il giocatore dei Tigers? Ha forse ributtato nella rete biancoblù un disco che vi era già entrato, ribadendo di aver segnato? Impossibile. E dunque? In senso figurato, quello più diffuso, ribadire significa avvalorare, rafforzare con nuove ragioni o prove (“ribadire un’affermazione, un’accusa”), confermare, ripetere (“ribadire le proprie tesi”). In senso proprio, assai meno diffuso, indica l’azione del “ripiegare e ribattere una punta o un altro elemento metallico che abbia oltrepassato lo spessore del materiale in cui è stato conficcato, perché faccia maggior presa o non rechi danno” (ribadire un chiodo). Stupenda è la definizione nella quarta edizione del Vocabolario della Crusca: “Quando un legnaiuolo avendo confitto un aguto, e fattolo passare, e riuscire dall'altra parte dell'asse, lo torce così un poco nella punta col martello, e poi lo ripicchia, e ribatte, e brevemente lo riconficca da quella banda, perché stia più forte, si dice ribadire”. È escluso che i giocatori di disco su ghiaccio o i calciatori ripicchino, ribattano e brevemente riconficchino il disco o il pallone nella gabbia o in rete. Men che meno la respinta del portiere. Neanche Dante ci aiuta. Usa il verbo ribadire una volta sola, nel canto XXV dell’Inferno, quello dell’invettiva contro la città di Pistoia (siamo nella bolgia dei ladri), con protagonista iniziale Vanni Fucci, un guelfo nero, un farabutto soprannominato Bestia (“Vita bestial mi piacque e non umana, / sì come a mul ch'i' fui; son Vanni Fucci / bestia, e Pistoia mi fu degna tana”). Così il sommo poeta: “Al fine de le sue parole il ladro / le mani alzò con amendue le fiche, / gridando: «Togli, Dio, ch’a te le squadro!». // Da indi in qua mi fuor le serpi amiche, / perch’una li s’avvolse allora al collo, / come dicesse ‘Non vo’ che più diche’; // e un’altra a le braccia, e rilegollo, / ribadendo sé stessa sì dinanzi, / che non potea con esse dare un crollo”. Le serpi avvolgono la Bestia che fa il gestaccio contro Dio; una gli si attorciglia attorno alle braccia annodando sé stessa in modo così stretto che il farabutto non può più muoversi. Ribadire come annodare, dunque. Ma, per quanto nello sport qualche giocatore a volte si comporti come una bestia, questo significato non quadra. E quindi? Ribadiamo pure tutto quel che vogliamo. Ma non in rete.