Elogio della noia pasquale

di CARLO SILINI - «Annoiati!». Qui al Corriere del Ticino il singolare augurio viene regolarmente rivolto da alcuni avveduti colleghi al giornalista che deve affrontare il turno lavorativo detto «di chiusura», quello che va fino a mezzanotte. «Annoiati», perché è sottinteso che se tutto va bene il tuo turno si limiterà a verificare che non ci siano strafalcioni nelle bozze delle pagine prima di andare in stampa. Ma se a tarda ora cominciano ad arrivare notizie grosse, di solito orrende (terremoti, attentati, incidenti eccetera), ti toccherà buttare all'aria tutto, riscrivere e reimpaginare in un'ora – a volte di meno – il lavoro di un giorno. Col timore di non fare in tempo a «chiudere» le pagine entro l'ora limite in cui il giornale deve entrare in stampa, o di sbagliare, di lasciare refusi nei testi o nei titoli prodotti a spron battuto con l'adrenalina a mille. Capite, quindi, che la noia in certi momenti è una condizione altamente desiderabile. Ed è l'augurio, per nulla paradossale, che vorremmo rivolgere anche a voi nell'imminenza della Pasqua. Noia, sì. Perché a seguire di fino l'attualità di questi ultimi giorni e mesi e anni, di notizie pacate, magari poco entusiasmanti ma positive o almeno non dannose, ce ne sono poche. Fra quelle giunte ieri in redazione segnaliamo, per gioioso grigiore, l'inaugurazione in pompa magna della nuova sede del Gran Consiglio vodese dopo quasi quindici anni di lavori e, per strappare un sorriso, la storia di quell'avvocato italiano di fama internazionale, amministratore delegato di tre società britanniche, che è stato smascherato dal fisco italiano perché viveva nel lusso, ma dichiarava reddito zero. In sé non è una buona notizia, ma almeno ti svaga. Per il resto informazioni positive le trovi solo nello sport, quando vince la tua squadra (ma non sarà una gioia universale: sul fronte opposto qualcuno mugugnerà). Perciò benvenga la noia se apri il giornale e leggi che ogni volta che c'è in vista un mezzo anniversario di regime il leader nordcoreano corre in tinello a tirar fuori l'artiglieria pesante. Ci sembra di vederlo mentre assiste a guance molli e braccia gelatinose all'ultimo exploit bombarolo del proprio esercito. Pare di sentirne i pensieri: bum, bum e bum! Visto che petardi, stavolta? La base dei test nucleari nordcoreani di Punggye-ri, nascosta nelle montagne del nordest – racconta 38 North, un sito curato dallo US-Korea Institute di Washington, think tank della Johns Hopkins University – mostra «attività continue» e uno scenario «adatto e pronto» a un'altra detonazione, in tempo magari per oggi, sabato 15 aprile, giorno del 105. compleanno del «presidente eterno» Kim Il-sung, nonno dell'attuale leader. Che bel sabato santo. Oppure apprendi sconsolato che l'America ha avuto il cattivo gusto di vantarsi per aver fatto sganciare sull'Afghanistan «la madre di tutte le bombe», come è stata definita da qualche genio del marketing militare con la sensibilità di un martello pneumatico e molti gradi sulle spalline. Perché l'acronimo MOAB (Massive Ordinance Air Blast) va bene anche per Mother of All Bombs. Solo che quella «mamma» di metallo era gravida di esplosivi (pare che i morti siano stati oltre una trentina). L'Air Force l'ha pensata come un potentissimo deterrente non nucleare contro le armi nucleari. Che è come dire che sul momento distrugge e ammazza né più né meno di un ordigno atomico, ma poi non restano le radiazioni. Gran cosa la bontà d'animo. Eccoci con l'attualità nel Corno d'Africa. Se chiudiamo gli occhi sentiamo solo i ronzii delle mosche e qualche debole lamento in lontananza. Mucche, forse. Forse bambini. Chiunque sia è così debole che non riesce nemmeno a piangere. Che rumore fa la miseria? Qual è il suono della fame? E della sete? Tra quali vagiti, brontolii di pancia e sussurri, tra quanti balbettii e in mezzo a quali silenzi si sta consumando la peggiore siccità degli ultimi settant'anni? Notizie di cui quasi non ti accorgi, un tipo di assuefazione che somiglia a una noia che invece non ci piace, quella dell'abitudine al male: «Ah, già, vero, c'è gente che muore di fame, che affonda nel mare, che sparisce nel crollo di un palazzo. Amen». La noia che ci auguriamo è quella della normalità, del capretto e della colomba sul tavolo, del radiogiornale che dice: gioite, è Pasqua e non succede niente.
Chi credeva che l'equilibrio del terrore – quello delle falangi dei presidenti sovietico e americano pronte a premere il tasto dell'apocalisse – fosse un ricordo per guerrafondai nostalgici, si sbagliava. Ogni potente che ambisca a farsi rispettare lascia planare dubbi sul fatto che possieda ordigni feroci e che, se gli si schiaccia la coda, potrebbe usarli. La Pasqua delle bombe fa paura. Ma anche quella dei silenzi.