Esercenti: una legge, molte falle

di GIANNI RIGHINETTI - Quando si parla di una legge s?intende una serie di puntuali norme tese all?interesse generale di una collettività. Un concetto inequivocabile, o meglio, che dovrebbe esserlo. Per contro, leggendo il messaggio del Consiglio di Stato sulla nuova Legge cantonale sugli esercizi alberghieri e sulla ristorazione (Lear) si ha la netta impressione che a dominare siano le soluzioni che maggiormente interessano la categoria, principalmente il vertice della stessa. L?esempio più palese è la decisione di mantenere come tassativamente obbligatorio l?ottenimento del certificato di capacità che viene ora elevato al rango di «diploma cantonale». Peccato che in un settore in cui spesso si guarda a quello che viene fatto in altri Cantoni, si sia evitata una valutazione approfondita e dettagliata della situazione. Si sarebbe scoperto che la tendenza è all?abbandono di questi vincoli in un campo in cui la credibilità non la si conquista con un pezzo di carta. E in effetti sono 13 i Cantoni che non annoverano alcun obbligo formativo. Tra questi c?è anche il Grigioni, zona turisticamente conosciuta e apprezzata, nella quale non sembra si sia registrato uno scadimento della professione a causa dell?assenza dell?obbligo di un certificato. Ha ragione Pierfelice Barchi quando scrive che si tratta di «una misura illiberale che mortifica il libero commercio e il libero mercato del lavoro». E non è un mistero che a puntare sul mantenimento e il rafforzamento di questo diploma siano state le associazioni di categoria, GastroTicino e la Federazione degli esercenti e degli albergatori che agiscono su delega del DECS, adducendo motivi di qualità e professionalità. Se fosse davvero il caso mal si comprenderebbe come mai in Ticino la spasmodica ricerca della qualità si scontri con un dato di fatto: oggi a dominare è la quantità. Gli esercizi attivi nel Cantone sono 2.600, ovvero 1 ogni 120 abitanti, mentre a livello nazionale la proporzione è la metà: 1 ogni 250 cittadini. A GastroTicino una limitante (e illiberale) clausola del bisogno sarebbe piaciuta, ma il Consiglio di Stato non ha potuto soddisfare questa richiesta. A suscitare perplessità e a dimostrare che la regola proposta è zoppicante è l'impossibilità di applicarla agli esercenti che decidessero di venire in Ticino dopo aver cumulato esperienza in altri Cantoni, anche senza mai aver ottenuto un diploma. A frenare il corporativismo regionale più marcato ci pensano le normative federali sul mercato interno che escludono discriminazioni ed obblighi formativi. Al cittadino confederato per aprire un esercizio pubblico da noi basterà dimostrare di avere agito altrove per almeno cinque anni in maniera irreprensibile. Questa è libertà. Ma come la prenderà l?esercente ticinese che resterà costretto a passare dalla via del diploma cantonale? Inutile nascondersi, è una palese disparità di trattamento.La nuova normativa, che ora è nella mani della Commissione parlamentare della legislazione, è stata concepita anche per semplificare le pratiche burocratico-amministrative del Cantone che ha ribaltato sui Comuni una serie di competenze. E, nel tentativo di combattere quegli abusi che l?autorità non riesce a smascherare, come il fenomeno delle gerenze fittizie, il Cantone ha voluto concentrare sulla figura del gerente, che dovrà essere una persona fisica, con tanto di nome e cognome, ogni responsabilità. Difficile pronunciarsi a priori su questa proposta che dovrà essere testata e verificata sul campo. Desta qualche perplessità la repentina marcia indietro, dopo che la precedente norma che risale al 1994 (e non è degli anni Cinquanta), era stata definita all?avanguardia.E i messaggi contrastanti, quando non vere e proprie marce indietro, non finiscono qui. Il Governo ha deciso di dare fiducia ai giovani e ai gerenti, permettendo ai minorenni di poter restare in un bar o ristorante (esclusi i locali notturni) fino alle 23. Il direttore del Dipartimento delle istituzioni Luigi Pedrazzini ha difeso con convinzione questa proposta affermando: «Una bibita dopo il cinema. Che male c?è?». Una bibita non fa certamente male, ma ci si può legittimamente chiedere, senza per questo essere bacchettoni o mentalmente ottusi, se un bar sia il luogo adatto alla gioventù. E poi risulta decisamente sproporzionata la definizione di minorenne. Cosa significa? L?adolescente della prima ora (12-13 anni) o il ragazzino di fine scuola elementare? Forse, dato che oggi fare rispettare il coprifuoco delle 21 per i minori di 16 anni è impresa ardua, c?è chi ha pensato di abbassare l?asticella per rendere tutto più facile. Detto in questi termini pare essere un vero e proprio azzardo, anche se l?accesso alle bevande alcoliche resterà permesso solo a chi avrà già compiuto 18 anni.E l?aspetto degli alcolici dimostra come in questo settore si tenda a ragionare più dal profilo delle emozioni, seguendo l?onda, che in maniera razionale. Forse molti lo avranno dimenticato, ma nel febbraio del 2003 il Consiglio di Stato, con il sostegno delle associazioni di categoria, aveva sostenuto con convinzione l?idea di suddividere le bevande alcoliche in due categorie: quelle fermentate (vino e birra) e quelle distillate (grappa e affini). Per queste ultime voleva mantenere la condizione della maggiore età, mentre per le prime era intenzionato a dare via libera dai 16 anni. E questo perché, si diceva allora, a livello nazionale siamo i soli a non fare questa distinzione. Così la pensava anche la Conferenza cantonale dei genitori. Ma ora, a distanza di soli sei anni, il ragionamento che fanno il Governo, GastroTicino e anche il gremio che rappresenta i genitori è di segno totalmente opposto. Quella modifica non è sostenibile: il binomio alcol-giovane crea un problema reale.Questi repentini cambiamenti, dettati più dalla moda del momento che da una valutazione approfondita dei pro e dei contro, disorientano. E agire in questo modo quando al centro del dibattito c?è il mondo dei giovani non è particolarmente edificante. L?impressione è che oggi l?autorità politica prima di agire tenda a cercare il consenso e l?appoggio delle parti coinvolte per evitare uscite senza copertura. Parti che, comprensibilmente, cercano di tirare la coperta dalla propria parte con il rischio di lasciare vere e proprie falle e nervi particolarmente sensibili scoperti.