Esercito di tutti, per tutti

Giancarlo Dillena
Giancarlo Dillena
05.01.2012 06:00

di GIANCARLO DILLENA - Con la consegna, oggi a Berna, delle 106 mila firme raccolte dall?iniziativa che chiede l?abolizione del servizio militare obbligatorio, si riapre ancora una volta il dibattito sull?esistenza stessa dell?esercito svizzero. Non sussiste in effetti alcun dubbio sul fatto che si tratti solo di un nuovo passo nell?ambito di una strategia il cui obiettivo finale è e rimane l?eliminazione totale delle forze armate. Eloquenti, in proposito, gli argomenti invocati sul sito del Gruppo per una Svizzera senza esercito, che riservano significativamente più spazio alle abituali tesi genericamente «anti-militariste», rispetto alle questioni specifiche sollevate dall?iniziativa.Niente di nuovo sotto il sole, dunque? In un certo senso sì. Ma sarebbe imprudente fermarsi a questa constatazione, nella convinzione che la chiarezza con cui il Popolo ha respinto i precedenti assalti basti ad assicurare anche il rigetto di questo ulteriore tentativo. In effetti la «tattica delle fette di salame», praticata con indubbia abilità e notevole costanza dagli abolizionisti, questa volta prende di mira un fronte particolarmente sensibile. Per ragioni culturali, innanzitutto. L?affermarsi di una mentalità sempre più individualista e orientata al vantaggio a breve tende a indebolire il senso di appartenenza alla comunità, su cui si fonda il principio solidale dell?obbligo generale di servizio. Esso è sempre meno vissuto come un impegno, a volte gravoso, ma dovuto, in quanto costitutivo di una cittadinanza fatta di diritti ma anche di doveri; e sempre più è considerato solo una «inutile seccatura». Una mentalità che non a caso si ritrova in certi ambienti economici, sempre meno attenti a valori quali la stabilità e la coesione sociale, complici personaggi e teorie manageriali di frettolosa importazione (responsabili per altro di non pochi disastri negli anni recenti). È per molti versi paradossale che siano proprio tali ambienti, da sempre indicati dagli abolizionisti come principali referenti dell?esercito, a favorire oggi il disegno che mira alla sua distruzione!Ma l?iniziativa riesce ad insinuarsi all?interno stesso dell?apparato militare, ove l?ostentato sostegno ufficiale alla milizia nasconde qualche zona d?ombra, sotto forma di inconfessate simpatie per forze armate di professione (o comunque a netta prevalenza professionista). Tesi che per altro trova consensi anche fra quei cittadini che, guardando a quanto fatto ad esempio da Francia e Italia, si chiedono perché un?opzione di questo tipo non possa andare bene anche per il nostro Paese.In realtà un?analisi razionale del problema porta rapidamente alla conclusione che la formula odierna, basata sulla milizia e sull?obbligo generale di servizio, costituisce per la Svizzera la soluzione di gran lunga migliore. Per ragioni demografiche, finanziarie, di ottimizzazione dell?integrazione delle competenze civili e militari, di efficacia nell?assolvimento delle missioni affidate alle nostre forze armate in un contesto di indipendenza e neutralità (ciò che non è il caso per i nostri vicini, largamente integrati in strutture politiche e militari sovranazionali). Ma anche e soprattutto perché il sistema peculiare del cittadino-soldato è e rimane un pilastro fondamentale della democrazia elvetica, altrettanto quanto l?espressione diretta della volontà popolare attraverso il voto su iniziative e referendum, il federalismo, il decentramento politico e amministrativo. Questo non significa, sia ben chiaro, contrapporre alle tesi degli abolizionisti una visione dell?esercito e del suo ruolo retrodatata e al di fuori della realtà odierna. Effettivi, organizzazione, modalità di svolgimento del servizio devono tener conto delle esigenze attuali, in un processo di ragionato aggiustamento. Ma un conto sono gli aspetti tecnici, un altro i principi fondamentali su cui si basa il nostro sistema di sicurezza collettiva. I primi sono certamente migliorabili, non da ultimo per quanto riguarda il rapporto fra vita civile e servizio militare, che ha risentito in questi anni anche dei contraccolpi di un processo di riforma accelerato e non sempre ponderato a dovere. I secondi debbono restare un punto di riferimento essenziale, fondamento di ogni ulteriore scelta.In autunno il Parlamento ha dato finalmente un segnale, forte e chiaro, a sostegno delle forze armate, con il voto sugli effettivi e sul budget militare. Una decisione che va letta come coerente seguito della volontà della grande maggioranza dei cittadini, che in più occasioni hanno ribadito di volere un esercito serio, credibile e conforme ai principi su cui si regge la Svizzera. Un esercito che non deve diventare un corpo separato dalla collettività, ma essere saldamente radicato in essa e di essa espressione. E di ciò l?obbligo di servizio a garanzia della sicurezza collettiva è parte integrante e irrinunciabile.