Fare la spia

Di questi tempi ne abbiamo viste e sentite di tutte. Persino l’esortazione, in alcuni paesi, a denunciare i vicini di casa nel caso non si attenessero alle regole antipandemia. Ma come, il «fare la spia» non è sempre stata un’azione riprovevole, anzi, diciamolo, proprio un comportamento infame, anche se chi lo fa è sincero? E se nessuno mi interroga direttamente, posso tacere la verità? Persino un fustigatore della menzogna quale Sant’Agostino ha a questo proposito un consiglio preciso: «Quello che dici, deve essere assolutamente vero; ma non devi per forza dire tutto quello che è vero». Posso dirlo, e farò la spia. O posso negarlo, o tacerlo a richiesta, e allora mentirò. Un bel paradosso. La mia impressione è comunque che da qualche tempo, precedente alla pandemia, si stia verificando nei confronti della delazione un cambio di paradigma: lo spregevole delatore si sta parzialmente trasformando in un informatore pregevole: una sentinella che allerta, uno spifferatore («whistleblower») buono, un eroe del nostro tempo: non più colui che consegna il debole al suo torturatore, Giuda che mette Cristo nelle mani dei Romani; non più colui che confessa che sotto il pavimento è nascosta una famiglia di ebrei (vedi Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino), ma una specie di benefattore dell’umanità. In questa breve colonna non riusciremo a risolvere il paradosso, del resto per definizione non risolvibile, ma almeno proveremo a prenderne coscienza, a diventarne consapevoli, assolvendo almeno uno dei compiti della filosofia e il più importante: quello di comprendere. La posizione del delatore che risulta moralmente riprovevole pur dicendo la verità, anzi proprio perchè la dice, apre infatti un dibattito impegnativo. In genere si ritiene che fare la spia - pur dicendo la verità - sia comportamento ignobile, condannabile, marchiato dal sigillo dell’infamia. Soprattutto se mosso da interesse (la delazione avviene per denaro, odio, paura, gelosia...); soprattutto se nuoce ad altri senza portare un vero vantaggio a se stessi. Ma se la delazione viene compiuta per un motivo di utilità? Se si fa la spia per il bene pubblico? La modalità delatoria che ritorna oggi con i volti dei pentiti, dei collaboratori di giustizia, dei whistleblowers, degli zelanti vicini di casa è/dovrebbe essere ritenuta un nobile gesto di condotta civica? «Chi oggi non ha un sentimento di ripugnanza morale nei confronti dei «pentiti» che denunciano i loro compagni? Eppure costoro dicono la verità e in più giovano allo stato»: sono parole di un grande giurista e filosofo, Norberto Bobbio, davanti alle quali non possiamo rimanere indifferenti. E allora pensiamoci e cerchiamo di capire da che parte stiamo noi e perché.