Giuseppe Buffi e le sue perle di saggezza

Vent’anni fa, il 20 luglio del 2000, ci lasciava Giuseppe Buffi. Tempus fugit. Ma quel che il compianto consigliere di Stato ha costruito a beneficio del nostro Paese rimane. Eccome. Potremmo suddividere la sua parabola politica nei tre decenni che hanno chiuso il millennio alle nostre spalle. Il periodo dell’impegno più militante nel Parlamento cantonale, durante i furenti e ideologici anni Settanta. Quello della svolta liberale e, per lui, soprattutto istituzionale, con l’ingresso in Consiglio di Stato (gli anni Ottanta del «meno Stato, più libertà e responsabilità»). Quello infine del consolidamento di una coerente visione improntata alla saggezza e lungimiranza del liberalismo, in un mondo più aperto (gli anni Novanta).
In realtà non ci sono cesure nette tra un periodo e l’altro: Buffi è stato deputato dal 1971 al 1986, municipale a Bellinzona dal 1976 al 1986, consigliere di Stato dal 1986 al 2000. E giornalista dal 1964 possiamo dire fino all’ultimo, anche se non più da professionista dopo l’assunzione della responsabilità governativa. Il mestiere di scrivere lo ha accompagnato lungo tutta questa traiettoria di maturazione politica, che ha avuto nell’Università della Svizzera italiana il frutto più nutriente per un cantone vanamente attratto dalla vocazione accademica fin dai tempi di Stefano Franscini. È ben singolare - e straordinario - che a fare del Ticino un cantone universitario sia stato un politico non di formazione accademica. Ma forse erano necessari proprio il pragmatismo pedagogico, la concretezza di un metodo di lavoro politico acquisito nel Comune e la profonda conoscenza del Paese data dall’ininterrotta passione giornalistica per edificare l’ateneo sulle «macerie fumanti» del CUSI, il Centro (post)universitario della Svizzera italiana che Carlo Speziali, predecessore di Buffi in Governo, diversissimo per temperamento e metodo, aveva fermamente voluto, ma che era stato affossato in votazione popolare. Dopo quella débâcle, che portò Speziali a dimettersi, con molta prudenza ed altrettanta pazienza Buffi ritrovò il «bandolo della matassa» e dieci anni dopo, nel 1996, pedalando anche contro il vento federale, poté dire ai ticinesi: ecco, questa che inauguriamo a Lugano e a Mendrisio è la nostra università.
Quando il suo cuore cedette sull’autostrada che lo portava con la famiglia in vacanza a Chioggia il Ticino perse uno dei politici migliori dei tre quarti di secolo seguiti all’incendio europeo e il Governo cantonale il punto equilibratore di riferimento. Molte cose negative che vennero dopo non sarebbero successe se Buffi fosse stato ancora nell’Esecutivo. Era di una generazione più in là dei quattro suoi colleghi. Senza di lui il Ticino si ritrovò con cinque consiglieri di Stato più o meno coetanei. Nessuno ci toglierà dalla testa che in un governo di concordanza, pluripartitico, questo sia un punto debole, il tallone d’Achille: tra chi è della stessa generazione prevalgono la competizione, la divisione, anche l’invidia; può mancare il rispetto; latita la saggezza. Le spinte centrifughe hanno la meglio su quelle centripete. Lo si è visto bene.
La saggezza. Nel ventennale della morte il «Corriere del Ticino» pubblica in seconda edizione il volume Appunti, nelle Edizioni San Giorgio. Il libro raccoglie una settantina degli oltre 400 articoli scritti da Giuseppe Buffi nell’omonima rubrica settimanale uscita sul giornale dal 6 novembre 1992 al 22 luglio 2000 (l’ultimo testo, intitolato Piccoli equivoci, che l’allora presidente del Governo consegnò alla redazione prima di partire in vacanza, uscì postumo). Sono autentiche perle di saggezza, capaci di superare le contingenze e i condizionamenti dell’attualità. È difficile trovarvi un testo che appaia logorato dal trascorrere del tempo. Al contrario, tutti offrono spunti che obbligano al confronto e alla riflessione critica. Anche quando si occupano di questioni strettamente politiche, mantengono una profondità quasi filosofica, sono un indagare sull’essere umano e il suo agire nella comunità, con l’occhio rivolto a ciò che il passato può insegnare a tutti noi. Appunti è un’antologia esistenziale. Non impone ricette per vivere bene, non cala lezioni. Dialoga con il lettore narrando quel che l’autore ha vissuto o ha percepito tra ventate di ottimismo e momenti di pessimismo, e anche sofferto, in un mondo in perenne cambiamento. Un’antologia che aspira sommessamente a proporsi quale bussola per orientarsi tra le incognite della condizione umana, libero poi ciascuno di seguire la propria strada.