Gli elementi negativi dei rapporti Germania-Ue

Se si analizzano i rapporti tra Germania e Unione europea emerge, per il nostro vicino del nord, una lista di elementi negativi assai pesante. Ecco qualche esempio. Primo esempio. Quando venne creato l’euro si promise, per renderlo meno ostico ai tedeschi (i quali certamente lo avrebbero rifiutato se si fosse fatta una votazione popolare), che la Banca centrale europea avrebbe praticato una politica monetaria rigorosa. Il nuovo istituto sarebbe stato semplicemente – si disse – una Banca federale tedesca ingrandita. Salvataggi di nazioni erano esclusi. Draghi, quando giunse a Francoforte, venne descritto come un tedesco avente passaporto italiano. Tutto questo, alla luce di quanto accadde dopo, acquista un poco il sapore di un inganno e la Germania deve subire una gestione della moneta completamente contraria ai suoi principi.
Secondo esempio. Esiste una anomalia nel senso che il Paese di maggior peso, per dimensione e forza economica, dell’Unione monetaria europea non ha ancora potuto avere un suo rappresentante alla presidenza della banca centrale. L’occasione di rimediare si era presentata, alla partenza di Draghi, con Weidmann. Non venne colta, sia per l’opposizione di Francia e Italia, sia per il fatto che il governo tedesco medesimo diede la preferenza a un baratto in cui Weidmann venne sacrificato per ottenere in cambio la presidenza della Commissione europea. Weidmann, che avrebbe dovuto fronteggiare, in seno alla Banca centrale europea, una maggioranza favorevole a una politica monetaria lassista, non sarebbe stato in grado di imporre un sostanziale cambiamento di rotta, tuttavia avrebbe potuto almeno porre un freno a certe derive.
Terzo esempio. Il sistema Target II, ossia il sistema che serve per elaborare i bonifici transfrontalieri nell’area dell’euro, presentava nel maggio 2020 un credito della Germania per 916 miliardi di euro (e debiti dell’Italia per 517 e della Spagna per 451). Si tratta per la Germania di veri e propri finanziamenti non garantiti, non produttivi di interesse e senza diritto di disdetta.
Quarto esempio. La Banca centrale europea, quando acquista titoli di nazioni fortemente indebitate, prende dei rischi notevoli e questi ricadono sui paesi che l’hanno costituita, tra i quali la Germania ha una parte importante. In considerazione di quanto precede (e di altri punti che rinuncio a trattare) è logico porsi la domanda come mai i tedeschi non perdano la pazienza e non abbandonino l’Unione monetaria europea. A mio parere esiste un solo motivo: il disfacimento dell’Unione monetaria europea e la rinascita delle valute nazionali avrebbero come conseguenza che il nuovo marco si rafforzerebbe improvvisamente e considerevolmente sui mercati delle divise, danneggiando in modo grave le esportazioni e tutta l’economia del suo Paese. In un calcolo di convenienza probabilmente i tedeschi pensano che il prezzo da pagare per avere una moneta debole come l’euro, anche se assai alto, come si vede dagli esempi esposti sopra, è pur sempre inferiore agli inconvenienti di una valuta propria troppo vigorosa. Forse dovrebbero tener conto del fatto che il nuovo marco, dopo una fiammata iniziale, tornerebbe a livelli ragionevoli. Dovrebbero anche pensare che, qualora un giorno l’economia mondiale entrasse in una fase euforica (da parecchio tempo non succede, per ragioni particolari e oggi anche a causa della pandemia), la Germania, con una valuta debole come l’euro, dovrebbe far fronte a una espansione eccessiva e ad esagerazioni di cui pagherebbe poi il conto con una recessione.
Per la Svizzera uno scioglimento dell’Unione monetaria europea o dell’intera Unione europea avrebbe il vantaggio di eliminare una controparte arrogante e contraddittoria, che mentre da un lato tende a creare libero scambio al suo interno, dall’altro lato assume contorni protezionistici verso l’esterno. Inoltre, poiché l’opinione prevalente nel nostro Paese, a torto o a ragione, giudica il franco sopravvalutato, il fatto che la nostra controparte commerciale di maggiore importanza adotti una moneta nuova particolarmente forte avrebbe risvolti positivi sulle esportazioni e la Banca nazionale svizzera dovrebbe sentirsi esonerata dal praticare tassi di interesse negativi e interventi vertignosi sui mercati delle divise (solo nei primi sei mesi di quest’anno per una cinquantina di miliardi di franchi). Tuttavia va riconosciuto che, almeno in una fase transitoria, ci sarebbero turbolenze e sconvolgimenti in tutta l’economia europea e anche la Svizzera non resterebbe esente da gravi squilibri.