Gli USA e la trappola d Tucidide

DI ALFONSO TUOR - I colloqui di giovedì scorso a Washington tra delegazioni di secondo livello di Cina e Stati Uniti non sembrano aver trovato una soluzione per evitare un'escalation del confronto commerciale tra i due Paesi. Sempre giovedì è entrato in vigore l'aumento dei dazi americani su 16 miliardi di dollari di importazioni cinesi, cui ha risposto Pechino che, come aveva preannunciato, ha introdotto una misura analoga e delle stesse proporzioni sulle importazioni di prodotti statunitensi. Finora raggiungono 50 miliardi i dazi introdotti negli ultimi mesi sugli scambi bilaterali, ma la situazione rischia di peggiorare poiché Donald Trump si è dichiarato pronto ad aumentare del 25% le tariffe su altri 200 miliardi di beni importati dalla Cina e Pechino ha già fatto sapere che risponderà a tono. Dunque la tensione tra i due Paesi è destinata a crescere. Ma si tratta veramente di una «guerra commerciale» e chi è destinato a vincere? Quanto sta succedendo è solo il prologo del confronto a tutto campo tra Stati Uniti e Cina. Infatti a Washington si è diffusa la consapevolezza che l'ascesa della Cina rappresenta una sfida non solo al primato economico americano, ma anche a quello tecnologico e quindi a quello geopolitico. In base a queste considerazioni gli Stati Uniti stanno cadendo nella famosa trappola di Tucidide. Lo storico dell'antica Grecia, analizzando il confronto tra Sparta ed Atene, aveva tratto la regola che il Paese che sente minacciata la propria superiorità dalla crescita di un altro Paese, pur di non perdere il predominio lancia una guerra preventiva. È quanto stanno cominciando a fare gli Stati Uniti soprattutto dopo aver scoperto che il ritardo cinese nelle nuove tecnologie è nettamente inferiore a quanto finora pensavano. E infatti le dispute commerciali sono solo uno degli aspetti di questa battaglia che si sta già estendendo alle misure per limitare gli investimenti diretti cinesi (che sta venendo seguita a stretto di giro di posta dai Paesi europei e prossimamente anche dalla Svizzera), ai tentativi di frenare gli investimenti cinesi nell'ambito del programma della «Nuova via della seta» e all'aumento delle tensioni sulla Corea del Nord, su Taiwan e sulle isole del Mare cinese. In questo contesto solo un accordo complessivo sul futuro assetto del mondo può risolvere il confronto commerciale tra i due Paesi. Ma questa prospettiva non appare perseguibile dall'attuale amministrazione repubblicana, anche a causa del forte indebolimento di Donald Trump e al clima di isteria politica prevalente a Washington. Dunque è probabile che i rapporti tra Cina e Stati Uniti peggiorino e che continui la guerra dei dazi. Se si dà un'occhiata a Wall Street, che è ai massimi, e anche all'assenza di grandi reazioni da parte dei manager e della stampa americani, questa prospettiva non sembra creare alcun allarme. Bisogna infatti ricordare che anche molti esponenti democratici e gli stessi sindacati americani sostengono la necessità di proteggersi dall'aggressività commerciale di Pechino. Dunque su questo dossier Donald Trump gode di un sostegno che va al di là della sua base repubblicana. A spiegare questo atteggiamento vi è anche la convinzione che gli Stati Uniti vinceranno questa guerra dei dazi, poiché l'attivo cinese di oltre 300 miliardi negli scambi commerciali bilaterali indica che Pechino ha più da perdere. E infatti la dirigenza comunista è disposta a fare ampie concessioni, ma respinge le richieste americane che considera una capitolazione. Questa fermezza è anche dovuta alla convinzione che la Cina riuscirà a contenere gli effetti negativi di una vera e propria guerra commerciale, che si manifesteranno soprattutto a breve termine, e addirittura di beneficiarne nel medio e lungo periodo, accelerando i tempi di quel balzo tecnologico in quei settori (come quello dei semiconduttori) in cui l'economia cinese è ancora in ritardo. Pechino inoltre sa che gli altri Paesi (da quelli europei al Giappone) non vogliono perdere l'accesso al maggiore mercato mondiale e ciò vale anche per le multinazionali americane, che ogni anno producono e vendono in Cina beni per oltre 200 miliardi. In conclusione, il confronto commerciale tra Stati Uniti e Cina è solo una scaramuccia di una disputa di portata ben maggiore che non potrà essere risolta se non attraverso un'intesa tra i due Paesi su un nuovo ordine mondiale in grado di sostituire quello attuale che sta cadendo a pezzi.