Il commento

Gli USA e quell'età dell'oro che non c'è

A quasi un anno di distanza dal ritorno di The Donald alla Casa Bianca, i capitoli economici fondamentali non segnalano un’avanzata della corazzata americana, al contrario
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
19.12.2025 06:00

Stiamo ancora aspettando l’avvio dell’età dell’oro promessa da Trump per gli USA. A quasi un anno di distanza dal ritorno di The Donald alla Casa Bianca, i capitoli economici fondamentali non segnalano un’avanzata della corazzata americana, al contrario. Il presidente ora parla di un grande boom che verrà, usa quindi nuovamente il futuro, ma tutto resta da dimostrare. Se si guarda a crescita, inflazione, deficit commerciale, disoccupazione, conti pubblici, il panorama statunitense del 2025 non è di progresso. Gli USA restano il maggior motore economico mondiale, questo è ovvio, ma i passi avanti preannunciati non si vedono.   Per la crescita statunitense, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico all’inizio di questo mese ha indicato 2% per quest’anno e 1,7% per il prossimo; nel 2024 c’era stato un 2,8%. Il Fondo monetario internazionale dal canto suo in ottobre aveva indicato 2% per quest’anno e 2,1% per il prossimo, sempre sotto il livello dell’anno scorso. In quasi tutto il mondo le economie stanno rallentando, ma il fatto è che anche l’economia americana targata Trump sta perdendo velocità, secondo le analisi della maggior parte delle istituzioni economiche internazionali.   L’inflazione negli USA sta vivendo tensioni. I dati americani indicano che in novembre è scesa al 2,7%, contro il 3% di settembre; ma non bisogna dimenticare che in aprile era al 2,3% e che è poi appunto salita mese dopo mese. Non pochi prezzi sono aumentati ed è difficile pensare che non c’entrino niente i dazi all’import che l’Amministrazione Trump ha varato contro il resto del globo. L’obiezione secondo cui è la stessa crescita economica a generare un’inflazione maggiore non pare poter spiegare per intero la dinamica dei prezzi, anche perché come detto la crescita è in rallentamento pure negli USA.   Peraltro il protezionismo di Trump, in larga misura basato sui dazi, non ha portato, sulla base dei dati sin qui disponibili, a quella riduzione del deficit commerciale che è l’obiettivo più volte gridato dall’Amministrazione USA. Nei primi nove mesi di quest’anno il disavanzo americano nei commerci (dato da un import di molto superiore all’export) è stato di 765 miliardi di dollari, contro i 652 miliardi dello stesso periodo dell’anno scorso. Le esportazioni sono cresciute, ma le importazioni di nuovo sono cresciute di più. Il dollaro debole è un fattore che può aiutare l’export americano, ma l’effetto valutario da solo evidentemente non basta, occorre anche un rilancio delle esportazioni di merci legato alla competitività.

La disoccupazione negli USA non è scesa, al contrario è aumentata. Nel gennaio di quest’anno era al 4%, in novembre era al 4,6%. Non è un incremento drammatico, ma è un incremento. Come per tutti, anche per gli Stati Uniti gli elementi che incidono sul mercato del lavoro possono essere molti e diversi, tutti richiedono analisi specifiche, ma di nuovo è difficile pensare che il rallentamento economico, causato dalle tensioni geopolitiche e dai dazi americani, non c’entri niente.     I conti pubblici degli USA sono lontani dall’equilibrio. Secondo le stime del Fondo monetario internazionale, il rapporto deficit pubblico/PIL per gli Stati Uniti quest’anno sarà del 7,4% e il rapporto debito pubblico/PIL sarà del 125%. Numeri da capogiro, in senso negativo, per un grande Paese come gli USA. Ma il punto ancor più importante è che la tendenza all’aumento, soprattutto per il debito, sembra quasi senza freni. Non è stato solo Trump a creare nel tempo questo maxi debito, è chiaro, ma l’attuale presidente USA già nel primo mandato non aveva contrastato l’incremento e ora pare preoccuparsene ancora meno.   Il quadro economico americano è in ogni caso destinato a migliorare molto, come indicano con forza, per usare un eufemismo, i sostenitori di Trump? Vedremo, qualche dubbio sarà consentito averlo, visti i presupposti. Parleranno ancora dati e fatti e ci lasceremo stupire, nel caso arrivi davvero l’età dell’oro o anche solo un più normale boom economico.  Intanto, è doveroso per tutti prendere atto di ciò che è accaduto sin qui. I risultati per ora non sono brillanti, sono anzi inversamente proporzionali all’altisonanza dei proclami usciti dalla Casa Bianca.