Grande fratello a Zurigo

L’incaricato alla protezione dei dati del Canton Zurigo Bruno Baeriswyl ha deciso di uscire di scena con una dichiarazione ad effetto. Nei giorni scorsi ha accompagnato l’annuncio del suo ritiro dalla carica per raggiunti limiti di età con una proposta che sta suscitando una discussione vivace non solo a livello cantonale ma a livello federale. Chiamato a proteggere la privacy dei suoi concittadini, se ne è uscito con la proposta non solo di introdurre per direttissima - invocando lo stato d’eccezione – l’applicazione che permette di tracciare e comunicare chi ha i sintomi del coronavirus, ma addirittura di renderla obbligatoria in Svizzera e di statizzarne la gestione. Solo se i dati verranno gestiti dallo Stato saremo sicuri che non ci saranno abusi, ha dichiarato il Mister protezione dei dati zurighese uscente. Per Baeriswyl non ci sono dubbi possibili: egli ritiene che la necessità sia data e visto che l’efficacia dell’applicazione di tracciamento interviene solo se una maggioranza della popolazione l’utilizza e se ognuno porta con sé 24 ore su 24 e per ogni movimento il proprio smartphone, bisogna assolutamente renderla obbligatoria. Come si è decretato l’obbligo del lockdown, cosí adesso - afferma - occorre fare con l’applicazione.
Nelle sue convinzioni granitiche, il preposto alla protezione dei dati zurighese non sembra interessato al fatto che il tracciamento obbligatorio decretato ad esempio nella liberticida Singapore non ha impedito una nuova impennata dei contagi e neppure al fatto che le categorie più a rischio, vale a dire gli anziani, sono quelle meno avvezze a (o in grado di) utilizzare uno smartphone. E neppure sembra sensibile a soluzioni differenziate (per fasce d’età e gruppi a rischio come ad esempio in Svezia o nel canton Uri all’inizio dell’epidemia) nell’applicazione di misure di privazione della libertà come il confinamento. L’app deve essere obbligatoria, statale e introdotta «Null Komma plötzlich!», ovvero immediatamente.
Forse, prima di accompagnare con tanto di tromba l’annuncio del suo ritiro con un proclama assai controverso, avrebbe fatto bene a leggere attentamente la dichiarazione pubblicata il 29 aprile dal preposto alla protezione dei dati del Consiglio d’Europa, lo svizzero Jean-Philippe Walter, e in particolare questi passaggi: «La prima ed essenziale domanda che dobbiamo porci prima di adottare acriticamente queste tecnologie è la seguente: queste app sono la soluzione? Visto che non esiste un’evidenza della loro efficacia, ciò che promettono è sufficiente per assumersi i rischi prevedibili che esse comportano dal punto di vista della società? E nel caso in cui siano utilizzate, lo siano per un periodo di tempo limitato, unicamente su base volontaria e garantendo il non utilizzo dei dati per la localizzazione delle persone e l’impossibilità di ogni nuova identificazione (...). Oltre alle questioni della difesa della privacy e la protezione dei dati, il tracciamento digitale dei contatti pone delle questioni riguardanti la disuguaglianza e la discriminazione».