Lutto

Guido Locarnini direttore illuminato, modernizzò il Corriere

L’editoriale del direttore Fabio Pontiggia
Fabio Pontiggia
Fabio Pontiggia
16.11.2019 06:00

Guido Locarnini si è congedato da questo mondo, il mondo che come direttore del «Corriere del Ticino» aveva cercato di comprendere e far comprendere in tutte le sue dimensioni, dalla politica alla cultura, dall’economia allo sport, passando per la via maestra di quello straordinario filtro conoscitivo che è la territorialità locale, senza mai cedere alla chiusura provinciale. Tutt’altro. Con lui se ne va un protagonista discreto, elegante, rigoroso del giornalismo ticinese. Un direttore che ha contribuito a modernizzare la nostra testata e il giornalismo scritto di questa parte della Confederazione.

I due estremi della sua reggenza dicono tanto, forse tutto: 1969-1982. Locarnini divenne direttore nell’anno in cui l’uomo mise piede sulla Luna; lasciò la direzione nell’anno in cui Breznev morì e Andropov assunse la guida dell’URSS. Prese le redini del “Corriere” nell’anno del referendum che affossò la legge urbanistica e della decisione popolare che riconobbe il diritto di voto alle donne; le lasciò in quello in cui fu approvata la legge sugli ospedali pubblici, che diede vita all’EOC, e in cui il Cantone dovette affrontare la prima pesante crisi finanziaria del dopoguerra. Da un mondo all’altro. Da un’epoca all’altra.

Il raffinato giornalista bellinzonese, formatosi a Berna e Heidelberg, chiamato a dirigere la testata luganese iniziò quando l’onda collettivistica del Sessantotto sommergeva la società e terminò quando quella stessa società riscopriva le virtù del liberalismo e dell’individualismo dopo la sbornia ideologica e violenta degli anni Settanta. Dev’essere stato tanto entusiasmante quanto arduo, tanto appassionante quanto rischioso dirigere il quotidiano indipendente della Svizzera italiana in quella stagione di incredibili cambiamenti. Guido Locarnini lo fece giocando la carta della professionalità sia sul fronte editoriale, sia su quello prettamente redazionale. A lui si devono la realizzazione della sede di corso Elvezia e la formazione di una squadra di giovani giornalisti specializzati per settori. Detto così, oggi, sembra poco o banale. Ma la sostanza che sta dietro quei due passi è ragguardevole.

Nell’edificio di corso Elvezia, così incaricato dal rinnovato Consiglio di Fondazione, prima di diventare direttore responsabile Locarnini mise in piedi quello che venne definito il complesso editoriale del «Corriere del Ticino». Per la prima volta, redazione, amministrazione, tipografia, rotativa compresa, e spedizione lavorarono sotto uno stesso tetto. La rivoluzione logistica comportò un altro cambiamento: il formato del giornale. Dal vecchio lenzuolo (in termine tecnico «broadsheet») al cosiddetto svizzero, spesso erroneamente confuso con il tabloid (ma in realtà è il formato berlinese). Nella nuova veste si presentava al pubblico un giornale con impostazione e contenuti nuovi, con maggiore enfasi sui fatti internazionali, sull’economia, sulla cultura, sulla terza pagina di riflessione e approfondimento accanto naturalmente ai pilastri della cronaca e dello sport. Apertura e radicamento, sorretti e nutriti da spessore culturale. «Chi non s’aggiorna è destinato a scomparire» aveva scritto Locarnini nell’editoriale in cui presentava la svolta.

Per dare vita quotidianamente a quel giornale il direttore mise in campo una squadra di giornalisti con sensibilità e orientamenti politici anche molto diversi, in una stagione di forte polarizzazione ideologica. Locarnini ha valorizzato e premiato la professionalità dei singoli, impegnandola in ambiti specifici, al di là del vecchio cliché che vede il giornalista occuparsi un po’ di tutto. Nell’intervista pubblicata all’inizio di quest’anno in occasione del centesimo compleanno, la figlia Nicoletta aveva ricordato che suo padre, come direttore, «non era un capo autoritario. Discuteva molto con i suoi collaboratori. Credo che la loro fosse una squadra molto affiatata e che lui tenesse moltissimo a questo gruppo di giovani redattori. Erano un po’ come dei pulcini e lui li proteggeva, ma con mano ferma».

Con quella squadra, via via potenziata, il direttore del cambiamento ha saputo interpretare l’orientamento del pubblico in modo molto pragmatico, ponderando spinte innovative e salvaguardia dei valori fondanti della testata e rafforzando l’indipendenza del giornale. Il «Corriere del Ticino» è così diventato saldamente, in quegli anni, il primo quotidiano della Svizzera italiana. Un merito storico. Tutti noi che siamo arrivati dopo, nel momento triste del commiato siamo per questo immensamente grati a Guido Locarnini.