Havel, l'uomo del dopo

Gerardo Morina
Gerardo Morina
19.12.2011 05:07

di GERARDO MORINA - Un tumore al polmone, un male che l?ha devastato fino a causarne la morte. Ma ancora più atroci per il suo apparato respiratorio furono i residui mai eliminati di quella polmonite presa una trentina di anni fa durante il soggiorno forzato nelle carceri comuniste del suo Paese. Singolare destino quello di Vaclav Havel, scomparso nella notte tra sabato e domenica all?età di 75 anni. Da bambino assiste all?invasione nazista e successivamente all?occupazione comunista della Cecoslovacchia. Due totalitarismi in uno stesso Paese. Poi, in età adulta, scrittore e drammaturgo trasformato in prigioniero di coscienza e poi ancora in leader di una vittoriosa rivoluzione non violenta (quella passata alla Storia come Rivoluzione di velluto) contro il regime comunista. Per infine diventare l?ultimo presidente della Cecoslovacchia e il primo della Repubblica Ceca. Una parabola che lui stesso spiegava ai numerosi intervistatori paragonandosi ad un personaggio di una fiaba, in cui tuttavia egli non si riconosceva.Eppure non in un racconto fantastico o in una rappresentazione dell?assurdo (a cui spesso furono ispirate le sue opere teatrali) ma nella Storia concreta del ventesimo secolo Havel spicca come un nome di assoluto rilievo. Perché, come dice il titolo di un saggio che lo rese famoso già in epoca comunista, «Il potere dei senza potere», egli seppe restituire potere e dignità a chi credeva di non più goderne, mentre a chi si era uniformato alle bugie di regime seppe opporre non la retorica ideologica ma le verità fondamentali di tutti coloro che fanno della libertà un culto personale e insopprimibile. Per questo viene guardato ancora oggi come l?impersonificazione della coscienza morale e dell?anima libertaria ceca. L?ex presidente americano Bill Clinton lo paragonò a Gandhi perché, come il mahatma in India, attraverso una rivoluzione non violenta di cui fu l?ideatore e il maestro, Havel traghettò l?allora Cecoslovacchia (la scissione tra Repubblica ceca e Slovacchia sarebbe avvenuta in seguito) nel mondo fino allora sconosciuto da parte di chi aveva vissuto, senza potersi mai ribellare, al di là della Cortina di ferro. «La violenza» - scrisse - è risaputo che generi altra violenza e questo è il motivo per cui la maggior parte delle rivoluzioni sono degenerate in dittature, divorando i propri figli e non sapendo che si stavano da sole scavando la fossa e di confinare la società in un circolo vizioso di rivoluzioni e controrivoluzioni». Parole, queste, che fanno riflettere in tempi di «primavere arabe» ancora dall?esito incerto.Per altri versi, Vaclav Havel seppe guidare Praga durante la difficile transizione verso un?economia di mercato ed un assetto politico occidentale: fu infatti grazie a lui se la Repubblica Ceca entrò nella NATO nel 1999 e nella Ue nel 2004. Ma la sua particolarità fu soprattutto quella di vivere la politica da outsider, immerso in un suo mondo ideale e non conformista, le stesse caratteristiche che ispirarono la sua attività da artista. Il suo pregio di trascinatore fu quello di proporsi a capo di un rinascimento intellettuale, fonte di speranza e di larghi orizzonti per il popolo degli oppressi. Aver svolto questo ruolo lo colloca oggi in un?icona indiscutibile, anche a costo di apparire, come qualcuno lo definì, «un politico improbabile».Per averne sperimentato la degenerazione, Havel rimase per tutta la vita allergico al potere. Al punto da trascurare, sulla pista di un aeroporto, la presenza di dignitari giunti ad accoglierlo, per andare a stringere la mano a Mick Jagger, voce di quei Rolling Stones la cui musica il drammaturgo Havel amava particolarmente, tanto da ospitarli nel suo castello di Praga. «Aftermath», il dopo, si intitola un disco del gruppo musicale inglese. E chi, se non Havel, fu appunto l?uomo del dopo?